Riflessioni a partire dall’estensione della raccolta dai soli imballaggi a piatti e bicchieri di plastica. Verso consorzi di materiale? La necessità di misure di prevenzione accanto a quelle di minimizzazione per i diversi flussi di beni/rifiuti.
Questa rubrica si occupa normalmente di prevenzione[1], e non di minimizzazione dei rifiuti[2].
Se oggi ne dedico un numero alla minimizzazione è perché merita qualche considerazione la notizia che dal primo maggio oltre agli imballaggi potremmo avviare alla raccolta differenziata anche bicchieri e piatti di plastica (ma attenzione e non le posate, che per ora vanno ancora nel residuo), uniformando il nostro paese ad una pratica già diffusa all’estero[3]. Il tutto dopo averli puliti, per evitare che un aumento delle impurità comprometta l’esito della raccolta[4]. Inoltre la decisione ultima sull’inserimento o meno spetta ai Comuni (quindi attenzione a informarvi sulle caratteristiche della “vostra” raccolta).
Ciò avviene sulla base di un accordo Anci-Conai, peraltro ancora da perfezionare nei suoi allegati tecnici (e si sa quanto questi ultimi ne costituiscano il vero contenuto)[5].
L’estensione della responsabilità del Consorzio (in questo caso Co.Re.Pla.) dai soli imballaggi ad altri manufatti in plastica è il secondo caso di filiera che si muove in questo senso, dopo la carta.
Come noto, infatti, anche Comieco ammette, accanto alla raccolta “selettiva” di soli imballaggi anche quella “congiunta” ad altre frazioni cartacea di provenienza domestica.
Nella costruzione della “società europea del riciclaggio” auspicata dalla normativa comunitaria tutti gli sforzi per passare da Consorzi di filiera per gli imballaggi (in carta, vetro, plastica, alluminio, acciaio, legno – che sono una realtà industriale importante, costituita da produttori e distributori di imballaggi) a Consorzi di filiera per i materiali (cioè a strutture in grado di intercettare e portare a valorizzazione tutti i prodotti della filiera e non solo gli imballaggi), sono di grande importanza.
Ciò pone problemi per il settore (ri)produttivo, che alcune aziende cominciano ad affrontare con positive innovazioni di processo che estendono la loro capacità di riciclaggio a qualità meno esclusive.
Nel caso della plastica e dei “nuovi ammessi” alla raccolta (piatti e bicchieri – plastica eterogenea) si veda, ad esempio, il caso della toscana Revet, che dimostra che le capacità tecniche di ampliare la platea di materiali da riciclare sono sempre più mature ed eventualmente è il sistema di incentivi pubblici che va riformulato (nel caso della plastica spostando eventuali benefit dal recupero di energia a quello di materia[6]).
Altrettanto importante è però l’evoluzione qualitativa di un altro attore decisivo del sistema (per quanto riguarda le raccolte urbane): il “conferitore”.
Se i cittadini sono certamente facilitati dalla possibilità di estendere i prodotti conferibili dello stesso materiale (al di la degli imballaggi) devono però essere richiamati alle loro “responsabilità ambientali”. Bisogna avere raccolte non genericamente differenziate, ma di qualità, in grado, cioè, di selezionare materie seconde sufficientemente pure da alimentare i processi produttivi fondati sul riciclaggio (limitando i costosi ed energivori costi di “seconda separazione”).
Questo elemento sta alla base di un’altra novità preannunciata (ma anch’essa rinviate alla definizione di documenti tecnici) da Anci e Conai nello stesso Comunicato del 21 marzo 2012: l’introduzione delle nuove fasce di qualità dei rifiuti di imballaggio previste dall’accordo quadro, che differenzia i corrispettivi riconosciuti sulla base della purezza dei materiali raccolti.
Giustamente si vuole applicare gradualmente questa decisione (che infatti è stata spostata al 1° luglio), in modo che Comuni e imprese che effettuano la raccolta abbiano più tempo per migliorare le loro prestazioni. Ma è ineludibilmente al cittadino che spetta la responsabilità ultima del conferimento, ed è fondamentale che venga premiato a penalizzato sulla base del suo impegno.
Resta però ancora l’ultima domanda, che ci richiama alla mission specifica di questa rubrica.
La creazione di consorzi di filiera di materiali potrebbe migliorare in termini quantitativi e qualitativi le forniture per il riciclaggio (cioè della minimizzazione dei rifiuti).
Ma la prevenzione?
Saprebbero i consorzi di materia dare alle azioni di prevenzione la giusta priorità non solo in termini astrattamente strategici, ma concretamente operativi?
Bisognerà pur porre, agli eco designers che lavorano sulla base del life cicle thinking, per committenti che si muovono nell’ambito della responsabilità estese del produttore, la necessità di lavorare alla prevenzione riduzione dei rifiuti, internalizzando nella produzione i costi economici ed ambientali dell’uso/riuso/riciclo di energia e materia.
E chiedersi quale forma di organizzazione non più dei produttori e dei distributori, ma anche di consumatori sostenibili e con la presenza di una funzione pubblica e/o di un ente terzo che curino gli interessi dell’ambiente, possa favorire non solo la minimizzazione, ma anche la prevenzione dei rifiuti e non solo il decoupling , ma anche la riduzione in termini assoluti del prelievo ambientale.
Perché ormai non ci basta più immobilizzare meno energia e materia per unità di prodotto, abbiamo bisogno di prodotti/servizi che utilizzino in assoluto meno energia a materia. Magari occupandosi della gestione delle utilità più che dei prodotti, dell’eco progettazione prima e del riutilizzo poi, prima che del recupero di materia.
Quindi e comunque il tema della prevenzione accanto (e prima) di quello del riciclaggio
Per il produttore e distributore di imballaggio c’è un interesse a ottimizzarne le prestazioni e a favorirne il riciclaggio, ma non a ridurne l’immissione sul mercato, dal momento che essi vivono di imballaggio. Per il cittadino e l’ambiente, viceversa, sono strategici la riduzione dei prodotti immessi sul mercato a parità di servizi / utilità forniti, perché diminuiscono prelievi di materia ed energia e carichi inquinanti, mantenendo la sostenibilità del sistema.
[1] Cioè per utilizzar la definizione contenuta nelle Linee guida Federambiente – Osservatorio Nazionale sui Rifiuti “ il complesso di “misure prese prima che una sostanza, un materiale o un prodotto sia diventato un rifiuto, che riducono: • la quantità dei rifiuti, anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l’estensione del loro ciclo di vita;
• gli impatti negativi dei rifiuti prodotti sull’ambiente e la salute umana; oppure
• il contenuto di sostanze pericolose in materiali e prodotti”.
La direttiva inoltre introduce ex novo anche una definizione per “riutilizzo”: “qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti”.
Nella definizione di prevenzi
one si ricomprendono, appunto, tutte le azioni che contribuiscono ad allungare la durata di vita dei beni e a ridurre le quantità di rifiuto che si determinano, e pertanto anche la nozione di “riutilizzo”, operazione alla quale viene finalmente conferito uno spazio importante, vista la rilevanza della stessa nell’ambito delle reali prassi di prevenzione.”
[2] Secondo la stessa fonte “Le azioni che riducono la quantità di rifiuto destinata a smaltimento attraverso un più spinto e mirato recupero di materia, non sono quindi da annoverarsi tra le azioni di prevenzione bensì da considerare come azioni rivolte a massimizzare il recupero e conseguentemente minimizzare le quantità di rifiuti da gestire e i relativi impatti”.
[4] Diremo ai cittadini ai cittadini – dice il Co.Re.Pla. – “ … pulisci e svuota piatti e bicchieri del loro contenuto. Non si tratta di lavare i piatti. Piatti e bicchieri usati, infatti, non vanno a inquinare il resto della raccolta fino a quando il residuo che rimane attaccato non è superiore al peso.”