Fondi di caffè come substrato per coltivare funghi. Con “Funghi espresso” si passa dal prototipo alla “produzione di serie”.
Il centro di ricerca (CR) “Rifiuti zero”[1] va a cercare tra i rifiuti gli errori della produzione industriale, quelli che originano scarti e si pone il problema di come “correggerli”, progettando produzioni “waste free”, a “rifiuto zero”.
Ricordo che la Finestra sulla prevenzione dei rifiuti parlò a suo tempo (per esemplificare questo approccio) di uno dei progetti più significativi del CR, legato ad una delle nostre abitudini quotidiane.
Esso nasceva dal fatto che i ricercatori del CR trovavano nei rifiuti residui, che a Capannori[2] sono molto pochi[3] molte cialde da caffè.
Per questo decisero di contattare i produttori e di cercare insieme a loro una soluzione alternativa. Nacque così un progetto pilota dell’Università di Napoli, di alcuni Comuni e dell’industria – promosso appunto dal CR – per il recupero e la selezione delle capsule esauste di caffè finalizzati al loro riutilizzo.
La Finestra sulla prevenzione dei rifiuti si se ne occupò nell’agosto del 2012[4]
Ora il CR ha promosso un altro progetto, sempre sul caffè.
Che affronta numeri (di rifiuti da prevenire) importanti.
In Italia si stimano in 300.000 tonnellate i fondi di caffè prodotti dai 110.000 bar, che li avviano a smaltimento.
Funghi Espresso aiuta i bar a valorizzare quello che altrimenti diventerebbe un rifiuto.
L’idea, tanto semplice quanto vincente, è stata selezionare gli esercizi vicini alla sede di produzione e andare a prenderli ed utilizzarli come substrato per la produzione di funghi.
Il percorso che ha portato alla creazione di Funghi Espresso inizia nel marzo 2013, quando Rossano Ercolini[5], apre il caso studio sul riutilizzo del fondo di caffè in agricoltura, presentato all’interno dello showroom “Il gusto di un caffè sostenibile”.
Il CR realizzò un progetto pilota di educazione ambientale “Dal caffè alle proteine”, con la partecipazione di circa 200 alunni dell’Istituto comprensivo Ilio Micheloni testando la coltivazione di funghi (Pleurotus Ostreatus) utilizzando come substrato proprio il fondo di caffè.
In seguito a questa sperimentazione. l’incontro tra l’agronomo Antonio Di Giovanni e l’architetto Vincenzo Sangiovanni diede vita all’avventura di Funghi Espresso[6], che si è diffusa e ha ottenuto vari riconoscimenti.
Ad oggi l’azienda Funghi Espresso ha inaugurato la sua prima sede produttiva nel comune di Capannori (LU).
I fondi di caffè offrono il substrato giusto per coltivare funghi di diverse qualità di pleurotus, come un bel video consente di capire [7].
L’Azienda vende i funghi a ristoranti e a Gruppi di Acquisto Solidale nel raggio di 70 km dal luogo di produzione, facendo della filiera corta e della consegna diretta una garanzia di freschezza e qualità.
Sono peraltro disponibili anche delle confezioni che permettono l’auto produzione di funghi.
Con il consolidamento, l’impresa comincia a “fare scuola” e a divenire un a buona pratica di blu economy da imitare, come dimostra il suo essere al centro di corso d formazione.[8]
I numeri citati all’inizio fanno capire i margini di diffusione e sviluppo del progetto, che non solo può fra togliere dai rifiuti 300.000 tonnellate all’anno per farle diventare “materia prima”, ma può investire capillarmente il territorio.
Perchè bar e possibili acquirenti dei funghi esistono dappertutto.
Basta che la fantasia imprenditoriale che hanno avuto i giovani di Capannori si manifesti anche altrove
[2] sede del CR e primo Comune italiano ad aderire – nel 2011 – all’ipotesi “Rifiuti zero” – http://www.comune.capannori.lu.it/sites/default/files/segreteria_sindaco/capannori-verso-rifiuti-zero-2011-r2.pdf
[3] http://www.comune.capannori.lu.it/node/14363
[4] http://www.rifiutilab.it/dettaglio_doc.asp?id=2972&menuindex=
[5] coordinatore del Centro di Ricerca Rifiuti Zero del comune di Capannori e vincitore Premio Goldman Prize 2013.