Alla Cop 21 a Parigi i grandi del mondo discutono di accordi globali sul clima. E se oltre a stare in attesa degli esiti, riprendessimo a fare qualcosa anche noi, a partire dal nostro rapporto quotidiano con ambiente e (non) rifiuti?
C’è una cosa che mi ha colpito.
Come tutti sono in preoccupata attesa degli esiti della Conferenza sul clima. Mentre stavo valutando eventi e news recenti per scegliere cosa commentare in questa Finestra sulla prevenzione dei rifiuti. Mi hanno colpito un paio di notizie e la loro “contraddittorietà” ai miei occhi:
- l’ottimo esito della Settimana europea per la riduzione dei rifiuti, con più di 12.00 azioni in Europa (più di 5.000 in Italia)
Il 90% di questa azioni è stato dedicato al tema della “de-materializzazione”[1];
- il Censis ci fa sapere che siamo secondi al mondo (dopo il Messico) per consumo pro capite di acqua minerale: ognuno di noi in media ne consuma 192 litri all’anno[2].
Rilevanti sono gli impatti del suo consumo richiamati dal commento alla studio:
- quello economico: per una famiglia di quattro persone il costo annuale varia da 160 a 400 euro (di solo consumo domestico escludendo la ristorazione commerciale e collettiva);
- quello ambientale; dal trasporto su gomme con relative emissioni fino alla plastica delle bottiglie difficile da smaltire: ogni passaggio della “filiera” è critico e dannoso. Per produrre 6 miliardi di bottiglie di plastica da 1,5 litri servono 450 mila tonnellate di petrolio utilizzate e vengono emesse oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2[3]
Il ritorno all’uso alimentare dell’acqua pubblica è uno dei più semplici atti di “de materializzazione che risparmia rifiuti” che ognuno di noi possa compiere.
Per questo mi colpisce quasi di più il fatto che quando me ne occupai per la prima volta su questa colonne, cinque anni fa[4], eravamo più o meno alla stesso punto.
E da allora molta acqua è passata sotto i ponti.
Nel 2011 un referendum popolare sancì la natura pubblica dell’acqua e della sua gestione.
Le campagne per l’uso alimentare dell’acqua del rubinetto sono state continue[5].
Eppure una indagine commissionata da Acqua Italia[6] ci rivela che la propensione al consumo di acqua del rubinetto, trattata e non, si attesta oggi solo (Ndr) al 67% con un 46% che dichiara di berla “sempre o quasi sempre”.
Eppure un aiuto è venuto anche dalla diffusione della cosiddette “case dell’acqua”, casette o distributori dell’acqua comunali. In alcuni casi l’erogazione avviene gratuitamente, per altri è necessario pagare una cifra comunque simbolica che non ha confronto con il costo dell’acqua minerale. Questi distributori offrono acqua proveniente dall’acquedotto, ma filtrata (uno o più filtri) e trattata per aumentare la sicurezza chimica e microbiologica. Sempre dall’analisi commissionata da Aqua, è emerso che il 57,5% degli intervistati conosce l’esistenza del servizio e, nel dettaglio, il 28,6% di questi vive in un comune che possiede un distributore d’acqua. Il 19,1% vive in una località che non lo possiede ma se fosse proposta l’iniziativa, aderirebbe di certo.
Di contro, malgrado l’esito -apparentemente inequivoco- del referendum, sono iniziate manovre per by passarne l’esito: da una parte ri trasformando l’acqua da bene comune a bene privato e dall’altra per renderne la gestione sul mercato da economica a “finanziaria”, anche in presenza di gestore formalmente pubblico[7].
Eppure i diritto all’acqua legato alla prevenzione dei rifiuti (temi che stanno al centro della conferenza di Parigi) ci offrono una opportunità di protagonismo nella azioni quotidiane, che voglio ricordare solo per riaffermare che di piccoli gesti sono fatte le grandi politiche.
Se capiamo che l’acqua è un diritto e che ne va affermato lo status di bene comune, la cui disponibilità va assicurata a tutti, senza metterla sul mercato capiremo meglio i ripetuti passaggi su questo tema di Laudato si[8] e le immagini si San Pietro la sera dell’8 dicembre.
E capiremo anche come ognuna/o di noi oltre e prima che che preoccuparsi della disponibilità dell’acqua a livello globale, può occuparsene nella sua pratica quotidiana, portando il suo “mattoncino di sostenibilità” alla costruzione della “casa Comune”. Le possibilità sono molte.
Potremmo cominciare a farci qualche domanda, sugli usi igienici, alimentari e di pulizia.
Quando mi lavo i denti e faccio la doccia, uso l’acqua per bagnarmi e sciacquarmi o tengo il flusso aperto per tutto il periodo, sprecandone una grana parte?
Ho messo i filtri di riduzione dei flusso ai rubinetti?
Ho lo sciacquone a flusso ridotto per il wc?
Uso i programma a risparmio energetico e idrico per lavapiatti e lavatrici e uso moderatamente l’acqua se si lava a mano?
Perché non bevo l’acqua di rubinetto a casa?
La chiedo al ristornate (c’è una campagna che li qualifica per l’offerta di acqua pubblica[9])?
E vi dicendo (basta consultare qualsiasi manuale di “ecologia domestica”).
Allora la domanda, molto semplice, è: cosa aspettiamo ad agire?
[1] http://www.envi.info/blog/2015/11/30/si-chiude-la-settimana-europea-per-la-riduzione-dei-rifiuti-serr-2015/
[3] http://www.ilfatto alimentare.it/wp-content/uploads/2015/11/legambiente_altreconomia_regioniimbottigliate2014_0.pdf
[6] Associazione costruttori impianti e componenti per il trattamento delle acque primarie -htpp://www.anima.it/ass/aquaitalia
[7] V. da Altraeconomia Duccio Facchini “Se la finanza si beve l’acqua” – http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=5391&
fromRaggrDet=5%20. Secondo l’autore dell’articolato ragionamento, la remunerazione del capitale investito cancellata (in teoria) dal referendum del 2011 ha un fratello gemello, e cioè i dividendi e gli interessi passivi riconosciuti ogni anno dalla società che gestisce l’acqua alla holding-casa madre … e richiama ad … un ripensamento, a favore di modelli di gestione compatibili con l’esito referendario del 2011, come è l’azienda speciale consortile.”
[8] Cui la Finestra sulle prevenzione dei rifiuti ha desicato un articolato commento – http://www.rifiutilab.it/dettaglio_doc.asp?id=4352&menuindex=