Ancora sulla pervasività della plastica. Per liberarcene, per lo meno dagli usi non necessari.
Torno ancora sulla plastica, a rischio di essere noioso; ma mi sembra importante rafforzare la spinta della pubblica opinione sui decisori per arrivare ad un mondo che ci liberi (almeno per quanto possibile) dalla plastica, in particolare mono uso e a perdere.
E’ necessario muoversi sul terreno merceologico (trovando le alternative possibili ai suoi specifici usi), culturale (superando le apparenti comodità della plastica – tra mono-dosi e stoviglie e perdere) e di consumo (dicendo assolutamente di no a tutti i beni usa e getta).
Oggi prendo spunti da un recente numero della News letter ambientale di ArpaToscana[1] che ci annuncia, già dal titolo che “la plastica inquina l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e il cibo che mangiamo”.
E lo dimostra, richiamandoci alle nostre responsabilità.
Vengono citati alcuni dati ed elementi destinati a colpire, quali ad esempio :
- il fatto che il 75% della plastica immessa sul mercato diventi rifiuto;
- che l’87 dei rifiuto finisca poi nell’ambiente;
- il fatto che ognuno di noi in media “consuma” circa 2.000 piccoli pezzi di plastica ogni settimana.
Così la ritroviamo in qualsiasi tipo di ambiente, anche quelli che non ci aspetteremmo (dal fondo della fossa delle Marianne al Mar glaciale artico, fino a sperduti villaggi dei Pirenei)

E la plastica dispersa nell’ambiente viene “mangiata” da pesci e uccelli che la scambiano per cibo e che rischiano di esserne soffocati, intrappolati, a almeno di avere danni alla salute, disturbi al sistema immunitario e alla riproduzione.
E quando entra nella catena alimentare attacca anche la nostra salute.
E’ quindi ormai documentato che le microplastiche stiano contaminando l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo e l’acqua che beviamo.
E’ state stimata[2] la quantità media di plastica ingerita dall’uomo , che varia ovviamente in relazione alla abitudini di consumo.
Sono stati considerati 52 studi, dei quali 33 esaminavano il consumo di plastica attraverso alimenti e bevande.
Come si vede nella tabella che segue[3] e disaggrega i 2.000 pezzi (che corrispondono a circa 5 grammi) che ognuno di noi ingerisce settimanalmente si tratta di un elenco di alimenti e bevande comuni (come acqua potabile, birra, frutti di mare e sale) che in varia misura contengono microplastiche. I risultati sono mostrati nella figura a seguire.

Le maggiori quantità di microplastiche le assumiamo l’acqua che beviamo (in bottiglia ma anche di rubinetto, anche se qui abbiamo situazioni diverse – dal momento che negli Stati Uniti o in India si trova il doppio della plastica riscontrata nell’acqua europea o indonesiana). Ma anche i frutti di mare fanno la loro parte.
Una importante parte dello studio è dedicato all’inalazione di plastica dall’aria, indoor e outdoor.
La prima è più inquinata da plastica, a causa della sua limitata circolazione della presenza di microplastiche nei tessuti sintetici e nelle polveri domestiche.
Per quanto riguarda la seconda va tenuta in considerazione la sua estrema disperdibilità territoriale. Non a caso in una recente Finestra sulla prevenzione dei rifiuti[4] parlavo, chiosando una canzone di cinquant’anni fa, di “affidare la plastica al vento”. Averle trovate in sperdute zone di montagna dà un’idea di quanto il vento porti lontane le microplastiche.
Ma rimando al citato studio del WWF “No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestion From Nature To People”[5] per cogliere altri elementi di pericolosità di questa marea di plastica che ci invade dal mare, da terra ed entra nella nostra alimentazione.
Oggi, ad esempio, la ricerca si concentra su come le micro particelle viaggiano nei tessuti muscolari (animali e umani) e sulle conseguenze che comportano sulla salute.
Si sta accertando che, oltre un certo livello di esposizione, l’inalazione di fibre di plastica può produrre un’infiammazione del tratto respiratorio.
E si indaga sulle possibili influenze sulla funzione sessuale, sulla fertilità e sull’aumentata presenza di mutazioni e tumori.
Senza dimenticare che le micro plastiche che si disperdono nell’ambiente possono “portarsi dietro” alcune sostanze inquinanti che incontrano sulla loro strada (ad es. IPA e metalli).
Mi fermo qui e chiudo con una riflessione.
Ho l’impressione che il nostro atteggiamento nei confronti della plastica sia uno degli snodi (produttivi e culturali; e inoltre fortemente simbolico) su cui si gioca la nostra possibilità di “sopravvivere allo sviluppo”.
Nella storia dell’umanità siamo passati dall’essere raccoglitori e cacciatori all’agricoltura e all’allevamento, dai primi insediamenti ai villaggi e alle città.
Abbiamo definito civiltà i diversi gradi e le diverse forme che uomini e donne si sono dati nell’organizzare i rapporti tra loro e con il territorio.
Sono nate e si sono evolute culture, arti, letterature.
Fino alla prima metà del XIX secolo la civiltà si è sviluppata senza la plastica[6].
Questo non ci ha impedito di avere la Commedia dantesca o di poterci stupire di fronte alla Madonna del parto di Piero Della Francesca[7] …
Negli ultimi secoli la plastica è entrata con forza nell’arte[8].
Per arrivare fino alla cracking art “Il termine Cracking Art deriva dal verbo inglese “to crack”, che descrive l’atto di incrinarsi, spezzarsi, rompersi, cedere, crollare. Con il nome di cracking catalitico è anche chiamata la reazione chimica che trasforma il petrolio grezzo in plastica: per gli artisti è questo il momento in cui il naturale permuta in artificiale, l’organico in sintetico, ed è tale processo che essi intendono rappresentare attraverso la loro arte.[9]”
Questo è normale nella misura in cui l’espressione artistica è immagine del suo tempo.
Ma quanti tra le generazioni dei nostri nonni, o anche solo dei nostri genitori, avrebbero mai pensato che saremmo arrivati a “mangiare la plastica” e che questo comodo aiuto alla nostra vita quotidiana avrebbe potuti rivelarsi una minaccia per la nostra salute?
Ora però tocca noi e dobbiamo individuare le forme di cambiamento attivo che ci permettano di resistere ad un inquinamento non sempre visibile e soprattutto poco percepito, ma non per questo meno pericoloso.
Abbiamo visto con alcune delle ultime Finestre sulla prevenzione dei rifiuti[10] che stanno maturando misure normative a livello comunitario a nazionale, come anche sul piano locale.
Ma come si diceva alla conclusione dei quel contributo non solo è necessario “partire da noi”, ma ragionare su come possiamo sostituire gli oggetti di plastica che usiamo, almeno quelle usa e getta, con alternative più sostenibili: borracce riempibili vs bottiglie e perdere; posate e stoviglie riutilizzabili vs quelle a perdere; cassette ortofrutta a rendere[11] vs a perdere; borse per la spesa in tela o comunque riutilizzabile vs. sacchetti a perdere (o anche biodegradabili: il non rifiuto è sempre meglio del rifiuto riciclabile o compostabile); bottiglie e confezioni per detersivi a rendere anzichè di plastica a perdere, e via dicendo.
Insomma la partita si gioca in due tempi.
Il primo (in corso) è prendere piena coscienza di un dramma ambientale e della sua entità.
Il secondo (che auspicabilmente sta per iniziare)
si gioca in due parti. Capire che per
salvare il pianeta bisogna che l’industria e i servizi ambientali ci
aiutino. Ma anche che se la coscienza
della gravità del problema non porta ognun* di noi a cambiare i suoi
comportamenti quotidiani non andremo da nessuna parte.
[1]http://www.arpat.toscana.it/notizie/arpatnews/2019/103-19
[2]Da uno studio, commissionato dal WWF e condotto dall’Università di Newcastle, in Australia.
[3]Traduzione ApaT su dati rapporto WWF “No pla”
[4] Nel punto di maggio 2019 sul tema della dispersione delle plastiche nell’ambiente – https://www.labelab.it/dfgh987/limpatto-delle-plastica-per-mare-e-per-terra-e-le-sue-immissioni-di-co2-segnali-positivi-dallevoluzione-della-normativa-ma-e-necessario-muoversi-presto-per-non-compromettere-il-fut/
[5] http://awsassets.panda.org/downloads/plastic_ingestion_press_singles.pdf
[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Materie_plastiche
[7] http://www.madonnadelparto.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/02/IngrandimentoMDP1024.jpg
[8] https://www.bing.com/images/search?q=plastica+nell%27arte&go=Cerca&qs=ds&form=QBIR
[9] http://www.crackingart.com/
[10] https://www.labelab.it/dfgh987/limpatto-delle-plastica-per-mare-e-per-terra-e-le-sue-immissioni-di-co2-segnali-positivi-dallevoluzione-della-normativa-ma-e-necessario-muoversi-presto-per-non-compromettere-il-fut/
[11] V. circuito