Finora in Italia i beni usati sono stati ceduti, venduti e comprati esclusivamente in base alla libera dinamica del mercato. In un prossimo futuro non sarà più così. Nuovi stakeholder pubblici e privati interverranno nelle filiere e riscriveranno le regole del mercato.

Alessandro Giuliani, Direttore di Leotron, fa un punto della situazione.

Finora in Italia i beni usati sono stati ceduti, venduti e comprati esclusivamente in base alla libera dinamica del mercato. In un prossimo futuro non sarà più così. Nuovi stakeholder pubblici e privati interverranno nelle filiere e riscriveranno le regole del mercato. A determinare questo cambiamento sarà la Responsabilità Estesa del Produttore (REP), concetto noto agli addetti del settore ambiente e che presto diventerà familiare anche a tutti gli operatori del riutilizzo.

responsabilità estesa del produttore

REP, in sintesi, significa che i produttori e distributori di beni nuovi dovranno farsi carico finanziariamente (e se vogliono anche operativamente) del recupero dei loro prodotti quando questi hanno terminato il loro primo ciclo di consumo. Già dalla fine degli anni novanta, obbedendo al principio che chi inquina paga, i produttori e distributori di imballaggi sono stati chiamati dalla legge a partecipare a consorzi obbligatori e a pagare le ecotasse che oggi finanziano le filiere del recupero; grazie a questo meccanismo i Comuni possono fare la raccolta differenziata di carta, plastica, vetro, legno, acciaio e alluminio con la sicurezza di vendere questi materiali a un prezzo congruo e senza doversi esporre direttamente sul mercato. In seguito alla recente ratifica in Italia del pacchetto dell’economia circolare (dlgs 116 del 3/09/2020) la gamma dei prodotti oggetto della REP viene ampliata e per la prima volta vengono esplicitamente menzionati beni durevoli come i mobili, gli indumenti e i materassi. Gli apparati elettrici ed elettronici sono già soggetti a questo tipo di regime da circa sette anni, ma con performance per ora non rilevanti in termini di riutilizzo e seconda mano.

A differenza dei modelli istituiti per gli imballaggi, a gestire la REP saranno organismi collettivi creati per libera iniziativa dagli attori privati che producono e distribuiscono i beni nuovi. Potrà esistere una pluralità di organismi collettivi per una medesima filiera e le industrie che lo reputino conveniente avranno anche la possibilità di istituire le proprie filiere autonomamente e senza associarsi con nessuno. Ad esempio Ikea, che si allena già da anni a questo scenario mettendo in campo iniziative periodiche di ritiro e distribuzione di mobili usati, potrebbe adempiere alle proprie responsabilità di legge mettendo a punto una propria logistica di ritorno dove rottamerà i mobili vecchi, magari offrendo buoni sconto ai volenterosi, e poi troverà il modo di reimmetterli in circolazione. La nuova legge facilita normativamente le logistiche di ritorno perché assimila i punti di distribuzione dei beni nuovi ai depositi preliminari di rifiuti urbani.

Di fatti la REP riguarderà essenzialmente il flusso di beni classificati come rifiuti, ma lo farà in forme che avranno grande impatto sul mercato dell’usato. La nuova legge infatti sottolinea che le filiere REP dovranno tener conto della Gerarchia dei Rifiuti, dove la preparazione per il riutilizzo è prioritaria rispetto al riciclo e alle altre forme di recupero. Se gli operatori del riutilizzo non fossero coinvolti nel nuovo sistema potrebbero avere seri problemi perché, come è facilmente intuibile:

  • Le filiere REP faranno di tutto per intercettare i beni di migliore qualità riducendo i flussi gestiti oggi dagli operatori dell’usato;
  • Dato che dovranno piazzare questi flussi sul mercato, le filiere REP potrebbero entrare in concorrenza diretta con la vendita al dettaglio degli operatori dell’usato.

Se invece gli operatori del riutilizzo fossero coinvolti, potrebbero beneficiarsi di nuovi flussi di approvvigionamento e di incentivi economici.

La legge 116 contempla che gli operatori del riutilizzo possano essere coinvolti negli organismi collettivi quando possibile. Ma chi deciderà quando è possibile coinvolgere chi ha già fatto dell’usato il proprio mestiere? Probabilmente i produttori stessi, che quindi avranno il coltello dalla parte del manico in ogni futura negoziazione. Il settore dell’usato per salvarsi ha una sola opzione: andare unito, come categoria, a far valere i propri punti di forza. E fortunatamente ne ha moltissimi.

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