Dalla spinta delle fondazione della Consulta il 5 febbraio allo sviluppo della azioni e ai problemi aperti. Il percorso verso il Pinpas.
Come annunciato, è partito. Parlo del Pinpas, il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare di cui si doterà l’Italia e su cui ci siamo recentemente soffermati[1].
Il 5 febbraio al Tempio di Adriano a Roma, in Piazza di Pietra, si è riunita la Consulta composta da enti, associazioni, organizzazioni e imprese. Fao, Confagricoltura, Confcommercio, Last minute market, Banco Alimentare, Slow Food, Acli, Caritas, Federconsumatori, Coldiretti, Expo e poi le aziende italiane coinvolte nel tema, da Alcenero a Barilla, da Granarolo a Whirlpool, da Coop a Conad, sono solo alcuni degli oltre cento soggetti che aderiscono agli Stati Generali di prevenzione dello spreco alimentare in Italia.
Le dimensioni del problema dello “spreco alimentare”
Già nella nota dedicata alla presentazione del Pinpas ricordavo i numeri sulla spreco in Italia, forniti del Last Minute Market (LMM): ogni famiglia italiana butta in media circa 200 grammi di cibo la settimana, più di 10 chilogrammi ogni anno : il risparmio complessivo possibile ammonterebbe a circa 8,7 miliardi di euro; Altroconsumo stima addirittura in 76 i chili di cibo commestibile che ogni italiano butta ogni anno. Inoltre, LMM ritiene che in un anno si potrebbero recuperare in Italia 1,2 milioni di tonnellate di derrate che rimangono sui campi, oltre 2 milioni di tonnellate di cibo dall’industria agro-alimentare e più di 300 mila tonnellate dalla distribuzione.
Ora voglio richiamare alcune valutazioni, che la FAO ha ricordato in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione lo scorso 16 ottobre, sostenendo che per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della fame nel mondo è necessario promuovere un corretto e sano regime alimentare.
Infatti, ogni anno nel mondo si buttano via 1,3 miliardi di tonnellate di avanzi, pari a un terzo di tutto il cibo prodotto: quattro volte quanto servirebbe a nutrire quasi un miliardo di persone che soffrono la fame. Tradotte in denaro le perdite ammontano a quasi 680 miliardi di dollari nei paesi industrializzati e a circa 310 miliardi di dollari per quelli in via di sviluppo. Va anche ricordato che ogni alimento ha una propria impronta ambientale che dipende dalla sua filiera di produzione: lo spreco di 1 kg di carne “costa” all’ambiente 10 volte la quantità di gas serra e di azoto reattivo richiesti da 1 kg di pasta. Lo spreco di 1 kg di manzo utilizza invano 594 litri di acqua blu a fronte dei 15 litri per lo stesso quantitativo di pasta.
Un sondaggio Swg, presentato alla riunione del 5 febbraio ci dice che oggi gli italiani sprecano ancora molto, ma cominciano ad essere più attenti al rapporto con il cibo[2].
Secondo la rivista Altroconsumo (v. inchiesta “Quel cibo grida vendetta” sul numero di novembre 2013[3])) un terzo degli alimenti finisce nella spazzatura. Globalmente nel mondo il 54% degli sprechi si verifica a monte, cioè nelle fasi di produzione, raccolto e immagazzinaggio. Il 46% avviene invece a valle, nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo
Per limitare questo spreco basterebbe imparare a fare meglio la spesa e a conservare correttamente gli acquisti.
Anche Altrocunsumo ritiene in calo la percentuale di chi ammette di buttar via cibo almeno 1 volta a settimana: oggi lo fa il 27%, ma era il 60% nel 2012.
A problema globale, risposta globale
Se il problema è globale, la risposta deve essere globale, ma con ricadute operative sul piano locale.
Al C40, la riunione delle città del Climate Leadership Group[4] svoltasi a Johannesburg il 5-6 febbraio 2014, Milano ha proposto una Food Policy contro gli sprechi alimentari, come hanno fatto Londra e altre città, per essere più sostenibile e competitiva.
Il tema, cruciale per il pianeta e al centro del dibattito di Expo 2015, è strettamente collegato alla lotta ai cambiamenti climatici, pericolosi per le persone e per il mondo intero. La produzione, la trasformazione e la distribuzione del cibo, insieme allo spreco delle risorse alimentari, riguardano da vicino il nostro futuro.
Milano, in questo anno che ci separa dall’Esposizione Universale, lavorerà alla sua Food Policy, strumento utile per delineare la visione per il futuro del suo sistema alimentare urbano.
Expo 2015 offre una grande occasione per pianificare il futuro anche nel campo dell’alimentazione sana ed equilibrata.
Inoltre, laddove gli Stati non riescono a raggiungere i risultati, le sinergie tra le città possono invece vincere le sfide che ci troviamo ad affrontare.
L’auspicio del Sindaco Pisapia è che “Come il protocollo di Kyoto è stato riferimento per le politiche ambientali, quello di Milano possa esserlo per cibo sano e lotta agli sprechi“.
Per questo punta a dar vita ad una partnership con altri sindaci delle città del Nord e del Sud del mondo per le politiche del cibo sano.
Un vero e proprio “Protocollo Milano” con obiettivi chiari e definiti da raggiungere nel medio periodo, da firmare nel corso di Expo 2015.
Un proponimento lodevole e da incoraggiare, anche se c’è chi ha fatto notare, come il Forum nazionale Salviamo il paesaggio nel corso della sua audizione alla Camera proprio sul tema di Expo 2015[5] che appare contraddittorio che per realizzare un evento dedicato ad un tema tanto sensibile e strategico per il nostro futuro si siano sacrificati 1,1 milioni di metri quadrati di suoli agricoli fertili (che saliranno con l’indotto), ritenendo che “Uno stop al consumo di suolo, subito, è il miglior biglietto da visita per il 2015 e il miglior investimento per le produzioni agro alimentari del nostro Paese…” (e forse non solo, aggiungo per restare in un’ottica globale).
Iniziative (che il Pinpas potrebbe prendere) e alcune “buone pratiche” già in atto
Mettere in cantiere vere e proprie “food policies” può offrire al centinaio di soggetti che hanno dato vita agli Stati Generali di prevenzione dello spreco alimentare in Italia una cornice e una prospettiva per dare vita ad azioni sinergiche, in cui ognuno gioca il suo ruolo, con il coordinamento e la direzione dell’Ente pubblico.
Da questo punto di vista viene spontaneo pensare ad un ruolo per le Regioni.
Il Programma Nazionale di Prevenzione Rifiuti (PNPR) affida loro il compito di attuare le sue previsioni (“Entro un anno (ndr: dal 13.12.2013) le Regioni sono tenute a integrare la loro pianificazione territoriale con le indicazioni contenute nel Programma nazionale.”).
Il Piano Nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (che può essere considerato il primo “programma attuativo” del PNPR) può diventare la migliore dimostrazione di come passare a intese volontarie di carattere territoriale che ne rendano operative le scelte.
Il livello regionale da questo punto di vista è il più vocato per mettere insieme i soggetti e impostare e concludere (con la regia e un ruolo di facilitazione, garanzia e controllo da parte delle Arpa) accordi di programma o protocolli d’intesa.
Saranno poi
i soggetti della produzione agro alimentare, della ristorazione, della distribuzione commerciale così come della ristorazione solidale ad attuarli sul territorio, mentre le previsioni saranno definite e i risultati monitorati con i Programma di Prevenzione locali.
Vanno intanto segnalate alcune delle tante “buone pratiche” che già si muovono in questa direzione, coinvolgendo i diversi attori della filiera (dai produttori alimentari ai distributori e al mondo della ristorazione, dai Comuni e dalle municipalizzate al terzo settore e al volontariato, fino ad ognuno di noi, come cittadino e come consumatore ) .
Sul piano nazionale di sono due “mondi” definiti e consolidati: il Last Minute market[6], lo spin off creato dalla facoltà di Agraria di Bologna per “trasformare lo spreco in risorsa” e il Banco Alimentare[7], la fondazione nata per far fronte all’emergenza alimentare in Italia. In entrambi i casi risulta fondamentale l’azione a livello locale su cui ci si muove a partire da una a cornice nazionale offerta dalla “legge del Buon Samaritano” che disciplina il recupero e la re distribuzione di alimenti freschi e cibo cotto da parte di Onlus che hanno come attività l’aiuto alimentare per fini di solidarietà sociale[8].
Il Banco alimentare ha già impostato la sua azione per Expo 2015 [9]. Marco Lucchini di Fondazione Banco Alimentare ha dichiarato che “Nei sei mesi dell’esposizione universale ci saranno 120 ristoranti attivi, oltre alla produzione alimentare dei padiglioni di oltre 150 paesi. Un’occasione enorme per mettere in pratica i principi della lotta allo spreco e che Banco Alimentare si prepara ad affrontare, tenendo conto delle peculiarità dell’evento. “Expo sarà un “parco tematico” vietato al traffico durante il giorno; ritireremo il cibo di notte”.
In provincia di Trento nella ristorazione la tendenza alla sostenibilità del pasto come elemento di qualificazione dell’esercizio è incoraggiata con il progetto “Eco ristorazione”[10], Si tratta di un accordo di programma (concluso tra Provincia autonoma di Trento, Associazioni di categoria del comparto ristorativo e Comune di Trento) che concede un riconoscimento ai locali che si impegnano a individuare e promuovere azioni concrete di sostenibilità ambientale nel comparto ristorativo. Si punta in particolar modo sulla riduzione dei rifiuti, sul risparmio idrico ed energetico, sulla sostenibilità delle forniture alimentari e non, impegnandosi inoltre a sensibilizzare e informare cittadini e turisti per incentivare la scelta di servizi ristorativi a ridotto impatto ambientale.
In quest’ambito viene posta una specifica attenzione alla minimizzazione degli “avanzi”, con l’iniziativa “rigustami a casa” e la fornitura alla clientela una eco vaschette per portare a casa la porzioni non del tutto consumate[11], spiegando che essa ha lo scopo di “ridurre gli sprechi e tutelare l’ambiente”.
Un terreno importantissimo per la possibilità di unire azioni concrete di contenimento degli sprechi alimentari alla diffusione di una cultura della consapevolezza è costituito dalla mense, in particolare scolastiche.
Nelle mense del gruppo Hera spa è partito nel 2010 il progetto “Cibo amico” per il recupero dei pasti preparati, ma non consumati, nelle cinque mense dell’azienda, a favore di associazioni onlus che operano sul territorio con persone in situazioni di difficoltà[12]: Nel 2013 sono state quasi 4,5 le tonnellate di cibo recuperato da Hera, corrispondenti a 10.400 pasti.
A Milano nelle mense scolastiche i numeri dello spreco sono altissimi: un quarto del cibo preparato per gli 80.000 pasti quotidiani che Milano Ristorazione cucina per le mense di circa 450 istituti scolastici milanesi (8 tonnellate su 32 – e un anno fa erano 9!) va buttato via. Per questo Milano ristorazione e assessorato comunale all’educazione stanno parlando con i dirigenti scolastici per sensibilizzare i bambini a raccogliere ogni giorno quel che resta sul tavolo per evitare che finisca in pattumiera. Pane, frutta, yogurt e budini, per esempio, potranno essere messi in cestini da portare a casa o da donare alle famiglie povere del quartiere”[13]. Un’alternativa potrebbe essere costituita dalla distribuzione delle derrate in eccesso al Banco Alimentare per sostenere il progetto Siticibo Milano[14].
Le mense scolastiche di 3 Comuni della provincia di Venezia (Campolongo Maggiore, cui si sono uniti Fossò e Campagna Lupia) hanno gestito un appalto quadriennale del servizio di ristorazione scolastica con alimenti biologici e altri elementi di sostenibilità ambientale[15]. E’ questo un modo per rendere strutturale il cambiamento, perseguendo un obiettivo di educazione dei bambini ad un’alimentazione corretta e salutare ma anche ad un atteggiamento responsabile rispetto all’economia locale e al territorio. Si può vedere come stagionalità, filiera corta, studio dei menù e del loro gradimento portino non solo ad un maggior benessere ma anche al contenimento degli sprechi alimentari.
Un soggetto fondamentale da coinvolgere nella lotta allo spreco alimentare è costituito dalla Grande Distribuzione Organizzata.
Qui si è passati dalle prime esperienze immediatamente successive alla legge su Buon Samaritano ad iniziative via via meglio strutturate da parte di molti gruppi.
Alla riunione della Consulta del 5 febbraio a Roma il presidente di Federdistribuzione[16] Giovanni Cobolli Gigli ha sottolineato l’impegno di Federdistribuzione sul fronte del sostegno all’indigenza in tempo di crisi, con il recupero di 60 mila tonnellate all’anno pari a 200 mila pasti giorno. Il presidente sostiene che già il 36% delle aziende associate lo fa, 400 negozi nel 2011, 500 nel 2012. A Parma vige un protocollo che coinvolge tutta la GDO”. Cobolli Gigli ha aggiunto che si potrebbe fare di più, ma che ci vogliono riduzioni delle tariffe rifiuti perchè, così i direttori dei negozi sono incentivati”[17].
Stanno diffondendosi e sono da incoraggiare iniziative e testimonianze che vanno nel senso di metterci la faccia (o, per meglio dire, … bocca, occhi e naso) di persona.
Da chi organizza cene con gli scarti recuperati ai mercati [18] a chi sostiene un “dialogo (leopardiano) con la pagnotta recuperata” [19] a chi insegna a resuscitare i nostri scarti di cucina.[20]
Tra le tante iniziative che partono da una ridefinizione dei propri comportamenti mi sembra vada messa in evidenza la pratica dei gruppi di acquisto solidale (GAS), che costruisce assieme cultura e “nuova economia”.
Si mettono insieme gruppi anche consistenti di nuclei familiari[21] e si organizza un rapporto diretto con i produttori basato su una reciprocità economica che sostiene gli interessi di entrambi i soggetti. I margini per un giusto riconoscimento del valore della produzione e per ridurre i costi di approvvigionamento derivano dalla destrutturaz
ione della filiera, con l’eliminazione di tutti i costi di intermediazione.
Il punto sul percorso e le prospettive
I risultati ottenuti con la riunione della Consulta 5 febbraio sono stati illustrati dal prof. Segrè, coordinatore della ‘task force’ per la realizzazione del PINPAS, in una video intervista [22].
Innanzitutto i lavori restano aperti a tutti gli attori della filiera agroalimentare e si cercano nuove adesioni.
Il 5 giugno 2014 ci sarà una prima tappa nella quale la Consulta presenterà i risultati. I soggetti incontratisi per la prima volta a febbraio chiariranno cosa fanno e cosa vorrebbero fare per prevenire, ridurre, recuperare lo spreco di cibo.
Il 5 novembre 2014 a Ecomondo si farà un quadro e si metteranno degli obiettivi.
Il 5 febbraio 2015, con la seconda edizione della “giornata nazionale contro lo spreco alimentare” si cominceranno a misurare gli effetti della azioni e a trarne le conseguenze
In un incontro avvenuto il 5 marzo a Roma tra il nuovo Ministro per l’Ambiente Gianluca Galletti e il prof. Andrea Segrè[23], il Ministro ha ribadito la necessità di proseguire il percorso avviato dal gruppo di lavoro, dicendosi d’accordo con la tempistica che dovrà portare il 5 novembre prossimo a presentare il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare a Ecomondo Rimini.
Avere il nuovo Governo ripreso e mantenuto gli impegni avviati da quello uscente fa ben sperare sul fatto che esso di farà carico di un impegno a facilitare recupero e prevenzione degli sprechi alimentari dal punto di vista normativo.
La costruzione di una food policy a livello nazionale, ma soprattutto regionale e locale, può essere la cornice per una iniziativa “contro” lo spreco alimentare e “per” la ridefinizione dei ruoli gli attori lungo tutta la filiera, ripensando il paradigma di un settore agro alimentare ad alta intensità di spreco e (spesso) a bassa qualità nutrizionale, verso una gestione sostenibile delle risorse e della relazioni.
Difendere il suolo agricolo, premiare le forme di mercato alimentare (in particolare locale) di qualità e sviluppare accanto a questo forme di economie più inclusive, basate sulla relazione e sulla gratuità. Ecco le condizioni per contenere lo “spreco alimentare” e diminuire i costi per tutti gli attori. E assieme non solo per ridurre i rifiuti, ma per migliorare la nostra salute a partire dall’educazione e pratiche alimentari maggiormente consapevoli.
Il Pinpas può essere la cornice nazionale alla quale si impostano i rapporti tra i portatori di interesse.
Le food policies a livello regionale e locale sono l’indispensabile traduzione operativa che trasforma quell’impostazione in accordi di programma e protocolli di intesa che rendono effettivi i rapporti nella sfera della prevenzione dello spreco alimentare (attraverso l’educazione alimentare e ambientale) e del contenimento dei suoi effetti perversi (con la messa in contatto di “offerta e “domanda” di eccedenza alimentare: i diversi attori della filiera agro alimentare, la distribuzione commerciale, la ristorazione da una parte le aziende di gestione, il volontariato e il terzo settore, e le istituzioni caritatevoli e assistenziali dall’altra)
Inoltre, come il Pinpas può essere considerato un (primo) piano attuativo del PNPR, è evidente come le “food policies” regionali e locali possono essere una delle fondamentali proiezioni operative di quei Programmi di prevenzione dei rifiuti regionali e locali sulla cui importanza (e realizzabilità – dal punto di vista delle risorse) si è soffermata una recente Finestra sulla prevenzione dei rifiuti[24].
La parola passa ora a portatori di interesse e operatori, da quelli attivi lungo la filiera agro alimentare, ai responsabili istituzionali e della aziende di gestione rifiuti fino al terzo settore ed ai cittadini.
Infatti, come sempre quando si parla di rifiuti (della loro raccolta differenziata e ancor più della loro prevenzione e riduzione), il primo fattore di successo non è tecnico ma culturale, perché è la coscienza del problema che favorisce il comportamento che ne consente una gestione sostenibile.
[2] Vedere il video in http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=9PANayyr8Ow .
[3] Altroconsumo 275 – Novembre 2013 – pp. 12-17
[5] http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/03/audizione-alla-camera-per-salviamo-il-paesaggio-su-expo-2015/
[6] http://www.lastminutemarket.it/ ; http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-3ead0cf3-c3c0-4a9a-859d-693abbd5e01d.html#p=0
[7] http://www.bancoalimentare.it/ . Oggi Banco Alimentare è presente in 20 città italiane e nel 2013 ha raccolto 65.000 tonnellate di cibo e 1 milione di pasti caldi, destinandoli a circa 500 strutture caritatevoli che si occupano di indigenti.
[8] Legge 25 giugno 2003, n. 155 “Disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale”
[9] http://www.ecodallecitta.it/notizie.php?utm_source=EcoNewsletter&utm_medium=email&utm_campaign=ECONEWSLETTER&id=378374
[11] http://www.eco.provincia.tn.it/binary/pat_ecoacquisti/primo_piano/PAT_Eco_vaschetta_cartolina_13x18_10_11_x_web.1319030972.pdf
[15] https://dub124.mail.live.com/default.aspx?n=922940423&fid=5#!/mail/ViewOfficePreview.aspx?messageid=bc2716f0-8f29-11e3-be69-002264c18ba6&folderid=66666666-6666-6666-6666-666666666666&attindex=0&cp=-1&attdepth=0&n=422306197
[20] https://www.youtube.com/watch?v=xe-G96LToKc . Dal dado fatto con gli scarti di sedano, cipolle e carote, alle bucce di frutta essiccate per le tisane. E anche nel carciofo si può salvare molto …
[21] Chi scrive aderisce a VenezianoGas, che raggruppa circa 200 nuclei familiari della città storica veneziana (http://www.venezianogas.net/ ).
[22] http://www.regione.emilia-romagna.it/consumatori/video/last-minute-market-e-gli-stati-generali-contro-lo-spreco-alimentare
[23] http://www.lastminutemarket.it/media_news/ministro-galletti-vede-professor-segre-avanti-con-task-force-per-piano-nazionale-prevenzione-sprechi/
[24] v. la presentazione del Programma Nazionale di Prevenzione Rifiuti – in particolare le PRIMECONSIDERAZIONI DI COMMENTO poste alla fine http://www.rifiutilab.it/dettaglio_doc.asp?id=3155&menuindex=.