Sul tema dell’economia circolare l’Italia, rispetto al resto d’Europa è complessivamente in ritardo: i decreti end of waste, arrivano con il contagocce e ogni Regione va per conto suo creando un far west del diritto. C’è però un particolare settore nel quale siamo i primi della classe: la raccolta e il riciclo degli oli lubrificanti usati.
Lo scorso 24 aprile, a Bruxelles, i rappresentanti del sistema di raccolta italiano (Paolo Tomasi e Franco Barbetti del Consorzio obbligatorio degli oli usati e Antonio Lazzarinetti di Viscolube, l’azienda leader in Europa nel settore) hanno presentato alla Commissione Ue la loro esperienza come best practice.
L’Italia ha chiesto anche di alzare l’asticella del recupero all’interno del Pacchetto sull’economia circolare che è stato approvato il 14 marzo scorso dall’Europarlamento. La rigenerazione è infatti la scelta indicata come migliore dall’Unione europea che privilegia il riuso dei materiali ad alternative come l’incenerimento con recupero di calore. Nel Pacchetto sull’economia circolare si prevede che, entro il 2025, la percentuale di oli usati avviati a rigenerazione debba raggiungere almeno l’85%. Ma l’Italia ha già superato questa soglia da 8 anni raggiungendo quota 95%, mentre la Spagna è al 68%, la Francia al 60%, la Germania al 50%, il Regno Unito al 14%.
In 30 anni di recupero in Italia si è evitato: il consumo di 6,4 milioni di tonnellate di materia prima vergine l’emissione di 1,1 milioni di tonnellate di anidride carbonica Dal 1984 a oggi, la rigenerazione (oltre il 25% dell’olio che permette ai motori e alle macchine
utensili di funzionare è realizzato utilizzando una base rigenerata) ci ha inoltre consentito di risparmiare 3 miliardi di euro sulla bilancia petrolifera: riciclare gli oli usati vuol dire infatti ridurre le importazioni di petrolio per la produzione di nuove basi lubrificanti.