Raccolta domiciliare e tariffa puntuale per ridurre i rifiuti e avviarli al riciclaggio. La strada per la gestione circolare dei rifiuti, sperimentata in tanti Comuni(diversi per dimensione, urbanizzazione e contesto socioeconomico) va generalizzata
Ogni anno la Finestra sulla prevenzione dei rifiuti torna sullo storico concorso “Comuni ricicloni” per sottolinearne eventuali passi in avanti verso una gestione veramente circolare dei rifiuti.
Comuni Ricicloni 2016 è stato realizzato da Legambiente con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. In collaborazione con Associazione Nazionale Comuni Italiani, Conai, Utilitalia, Fise Assoambiente, CiAl, Comieco, CoRePla, CoReVe, Ricrea, Rilegno, Centro di Coordinamento RAEE, Consorzio Italiano Compostatori e Assobioplastiche.
Il dossier che ne è derivato è disponibile on line[1].
L’evoluzione del Concorso: dai Comuni ricicloni ai Rifiuti free.
A partire dal 2013 nel dossier Comuni ricicloni, oltre a premiare le amministrazioni che avevano
superato il 65% di differenziata finalizzata al riciclaggio, è stata coniata la qualifica di Comuni
Rifiuti free per segnalare le amministrazioni capaci di contenere (al di sotto dei 75 kg/b/a) anche la produzione pro capite di secco residuo.
Questi ultimi sono e da quest’anno saranno i protagonisti del concorso nazionale, per dare un segnale forte e mettere in evidenza chi ha deciso anche di puntare sulla riduzione del residuo da avviare a smaltimento.
Così nelle graduatorie, suddivise su base regionale e in tre categorie (capoluoghi, sopra e sotto i 10mila abitanti), compaiono solo quei comuni che oltre ad essere ricicloni sono anche rifiuti free, anche se nel dossier sono comunque elencati tutti i Comuni che hanno rispettato gli obiettivi stabiliti dal D. Lgs 152/06, differenziando e avviando al riciclaggio almeno il 65% dei rifiuti prodotti.
Rispetto allo scorso anno il numero di chi ha rispettato la legge è rimasto invariato (1520 comuni superano il 65% di raccolta differenziata) mentre è aumentato quello dei Rifiuti free, che passa da 356 a 525 comuni (pari al 7% del totale nazionale), con una popolazione che sfiora i 3 milioni di cittadini (attorno al 5% del totale).
Se Legambiente avesse voluto tenere in considerazione i meno stringenti obiettivi europei in corso di definizione (che sembra collocare a 100 kg/ab/a di secco residuo la soglia di virtuosità), il loro numero sarebbe salito a 931 comuni.
Rimando alla lettura dell’interessante rapporto chi volesse muoversi nella geografia delle situazioni di eccellenza.
Qui mi limito a rilevare che le Regioni più virtuose (con una percentuale di Comuni “rifiuti free” superiore alla media nazionale sono le tre Regioni del triveneto (in testa il Veneto – dove il 35% dei Comuni ha una produzione di rifiuto residuo inferiore ai 75 kg/ab/a) , seguito dal Friuli Venezia Giulia (25%) e dal Trentino Alto Adige (17%). Ma anche che l’unica altra Regione che sta al di sopra della media nazionale è la Campania (con 50 Comuni, il 9% del totale).
Il rapporto riporta le caratteristiche dei Comuni più virtuosi: si tratta di Comuni con un sistema di raccolta domiciliare, con applicazione puntuale della tariffa, spesso con una gestione consortile dei servizi.
Emerge con estrema chiarezza che questi sono i punti fondanti la gestione circolare dei rifiuti.
E abbiamo una applicazione in Comuni diversi per collocazione geografica, per tipo di urbanizzazione e di assetto socioeconomico, tanto da poter dire che la generalizzazione di questo modello è ormai possibile e attuale.
Oltre ai territori di eccellenza, ci sono anche le tante esperienze delle gestioni consortili che confermano ancora una volta la loro validità ed efficacia: praticamente tutti i Rifiuti Free, con pochissime eccezioni, fanno parte di un consorzio o di una comunità montana.
A guidare la classifica dei Consorzi Rifiuti free al di sopra dei 100mila abitanti è il Consiglio di bacino Priula (Tv) che può vantare per i suoi 556mila abitanti quasi l’83% di differenziata a fronte di poco più di 50 kg/abitante/anno di secco residuo.
Tra quelli al di sotto dei 100mila abitanti si distingue invece Amnu, in provincia di Trento, con quasi 43 kg/abitante/anno.
Gran parte dei consorzi si trovano in Triveneto.
Il rapporto mette in evidenza altre storie di eccellenza.
Ad esempio la nuova legge regionale dell’Emilia Romagna dell’autunno 2015 e il conseguente piano sull’economia circolare, approvato qualche settimana fa, che”prevede un innovativo e condivisibile sistema di premialità e penalità che si basa sul quantitativo di secco residuo avviato a smaltimento e non sulla percentuale di raccolta differenziata.”.
Oppure la positiva evoluzione di Parma, tra i capoluoghi decretati “Ricicloni” nel 2015, che dal 1 luglio 2015 ha attivato una tariffazione puntuale su tutta la città incentivando i cittadini a un comportamento virtuoso e rispettoso dell’ambiente, con una riduzione del costo della bolletta di cui hanno beneficiato oltre 92mila le famiglie).
O le esperienze del Sud, come quella del comune di Catanzaro, che ha avviato con successo la raccolta differenziata domiciliare[2] (come già avvenuto in altri capoluoghi del meridione come Salerno, Andria e Cosenza).
Mi preme però anche rilevare il dato politico di fondo, che emerge dalla lettura di questi dati, e che è stato messo bene in evidenza dalle parole della Presidente nazionale di Legambiente – Rossella Muroni.
“I risultati emersi in questa nuova edizione del nostro rapporto sono assolutamente incoraggianti. Quella dei Comuni ricicloni e soprattutto dei quelli Rifiuti free è una rivoluzione e una riforma anti-spreco che fa bene al Paese, perché dimostra che l’economia circolare è già in parte in atto e che un’Italia libera dai rifiuti è un sogno realizzabile. Abbiamo comuni virtuosi nella raccolta differenziata ed eccellenze che hanno quasi annullato la necessità di smaltimento di quasi tutti i rifiuti normalmente prodotti. Ora la vera scommessa è quella far diventare nei prossimi 3 anni tutta l’Italia ‘Rifiuti free’, traghettando i tanti comuni ricicloni verso la nuova sfida della riduzione del secco residuo da avviare in impianti di incenerimento e in discarica, per accompagnarli verso la rottamazione di questo sistema impiantistico che ha caratterizzato gli anni ’90 e 2000. Per realizzare ciò oltre all’impegno delle amministrazioni e dei cittadini, è però importante che anche la politica faccia la sua parte attraverso l’introduzione di un sistema di tariffazione puntuale su larga scala, dicendo stop ai nuovi inceneritori e avviando una graduale dismissione a partire dagli impianti più obsoleti. Ed ancora replicando le buone pratiche su tutto il territorio e definendo un nuovo sistema di incentivi e disincentivi per far in modo che la prevenzione e il riciclo siano sem
pre più convenienti”.
E in effetti, alla fine Legambiente ribadisce le sue proposte, presentate ai Comuni in forma di “decalogo” per un’Italia libera dall’emergenza rifiuti.
Rilancia in particolare sei delle dieci proposte contenute nel Manifesto Rifiuti free[3] (sostenendo che le altre quattro sono diventate realtà) e torna a ribadire l’importanza di introdurre l’obbligo di tariffazione puntuale su tutto il territorio nazionale.
Rileva che, anche se ad oggi ci sono stati diversi passi avanti, dal punto di vista normativo (vedi la legge sulle agenzie ambientali, fresca di approvazione, quella sugli ecoreati e il collegato ambientale, la legge della Regione Marche sul tributo speciale sullo smaltimento in discarica e quella della Regione Emilia Romagna verso rifiuti zero), per promuovere riciclo e prevenzione bisogna fare di più.
In particolare occorre:
- utilizzare i proventi dell’ecotassa per politiche di prevenzione, riuso e riciclo;
- premiare i comuni virtuosi e le popolazioni con sistema di tariffazione;
- eliminare gli incentivi per il recupero energetico dai rifiuti;
- completare la rete impiantistica italiana per il riciclaggio e il riuso dei rifiuti con gli impianti anaerobici e aerobici per trattare l’organico, quelli di riciclo di tutte le filiere e frazioni nelle regioni ancora sprovviste, i siti produttivi per la preparazione per il riutilizzo e tutte le innovazioni tecnologiche che sono in grado di recuperare materia dai rifiuti considerati fino a ieri irriciclabili, come ad esempio i pannolini usa e getta;
- “Chi inquina paga”: lotta allo spreco e prevenzione della produzione di rifiuti;
- stop a qualsiasi commissariamento per l’emergenza rifiuti.
Dopo aver sottolineato le conclusioni “politiche” che Legambiente trae dalla sua meritoria inziativa vorrei concludere con due e tre considerazioni “tecnico-gestionali”.
E’un contributo aggiuntivo alla proposta (da me in gran parte condivisa) che ci viene dalla storica associazione ambientalista[4].
Trovo fondamentale il ragionamento che vede negli incentivi economici il motore del cambiamento.
Quindi certamente dimostrare che il passaggio PRIMA alla MISURAZIONE dei rifiuti e POI alla TARIFFA PUNTUALE è il volano dell’operazione.
Su questo la Finestra sulla prevenzione dei rifiuti ha richiamato, al di là della necessità del varo del DM sulla tariffa puntuale, non solo la necessità di una RIFORMA DELL’INTERO ISTITUTO TARIFFARIO che lo orienti in senso pienamente corrispettivo ma anche l’esistenza di un corpus di proposte molto avanzate al riguardo, messe in campo dall’Associazione PAYT Italia nel recente secondo convegno nazionale sulla tariffa puntuale – cui ha dedicato il rapporto richiamato in nota[5].
Ma se l’economia circolare si basa sulla riduzione dei rifiuti soprattutto in quanto essi vengano (prima di divenire tali) prevenuti e poi riutilizzati come beni bisogna fare chiarezza su COME FINANZIARE LA PREVENZIONE dei RIFIUTI.
Anche su questo in passato abbiamo portato alcune proposte e in particolare nella Finestra sulla prevenzione dei rifiuti del 3 maggio 2016, dedicata a “LA CARTA DELL’ECOFISCALITÀ, CHIAVE DI UNA POLITICA DEI RIFIUTI CHE INTEGRI LA PREVENZIONE NELLA LORO GESTIONE “CIRCOLARE” [6].
Ricordo in particolare le proposta formulata dal Comitato Tecnico Scientifico del Programma nazionale per prevenzione dei rifiuti sull’Eco tassa: destinare una quota non inferiore al 20 % dell’intero gettito alle misure di prevenzione e di riduzione della produzione, con l’obbligo per le Regioni a rendicontare sull’utilizzo delle risorse e sugli obiettivi raggiunti.
O quella di Payt Italia sull’inserimento dei Costi di Prevenzione di Rifiuti in Tariffa .
E’ innanzitutto necessario che il legislatore nazionale raccolga l’indicazione di fondo dei quello regionale dell’Emilia Romagna e provveda ad internalizzare i costi della prevenzione nella gestione dei rifiuti inserendoli nel Piano economico e Finanziario della Tariffa.
La LR emiliana li considera Costi Comuni. In questo modo probabilmente il legislatore ha voluto dire che sono una sorta di presupposto per il buon funzionamento del sistema. Mi sembra però che l’integrazione venga meglio sottolineata da una collocazione tra i Costi di Gestione, che segnala che la prevenzione non è un presupposto esterno ma il punto di partenza della gestione dei rifiuti e che in quanto tale i suoi costi vanno sostenuti da tutte le utenze.
Inoltre, la proposta di attribuirne la copertura a tutte le utenze attraverso l’applicazione di una (molto contenuta) addizionale va nel senso di far capire che si tratta di una dato di gestione che tutti devono pagare, come pagano per raccolta e trattamento dei rifiuti.
L’inserimento del Costi di prevenzione rifiuti rifiuti (CPR) nel Piano economico e finanziario della tariffa tra i Costi di Gestione è una misura posta dall’associazione Payt Italia all’attenzione del MATT nell’audizione presso il Comitato Tecnico Scientifico del Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti avuta a Roma il 22.04.2015. Come si può constatare consultando il sito dell’Associazione, la proposta è formulata in termini di articolato di legge, quindi immediatamente trasformabile in Norma, qualora ce ne sia la volontà politica[7].
Infine è necessario studiare forme di incentivazione che incoraggino alla riduzione dei rifiuti anche la situazioni nelle quali le grosse produzioni pro capite derivano da elementi quali una forte presenza di “popolazione equivalente“ – dal turismo al pendolarismo – e forme di assimilazione “larga”.
Qui servono da una parte una uniformazione nazionale (comunitaria) del calcolo delle produzioni di rifiuti pro capite e dall’altra forme premiali che incoraggino la virtuosità non solo assoluta, ma relativa, di tendenza.
Perchè possa essere premiato non solo chi ha basse produzioni pro capite di rifiuto ma anche chi le sta abbassando.
[2] Il Comune, che partiva dal 10% di raccolta differenziata nel 2015, a maggio di quest’anno ha raggiunto una media di raccolta differenziata pari all’80% nelle prime due aree servite, elevando la percentuale complessiva della raccolta cittadina al 32%.
[4] Che mi fa piacere constatare sembra – folgorata sulla “via di Damasco” dell’economia circolare – aver perso, speriamo definitivamente, alcuni “pezzi” importanti che si erano fatti abb
acinare dal “falso diamante” del recupero energetico …
[6] http://www.rifiutilab.it/dettaglio_doc.asp?id=4958&menuindex= v. “il problema del finanziamento della prevenzione attraverso eco tassa e tariffa rifiuti” a pag 11 documento in Pdf – http://www.rifiutilab.it/_downloads/20160504-Ecofiscalita.pdf
[7] http://www.payt.it/wp-content/uploads/2016/04/nota-MS-per-audizione-22-aprile-2015.pdf