Oltre la GDO, per comunità che producono, distribuiscono, consumano cibo;  e relazioni.  Dall’agroecologia vs agroindustria al recupero delle eccedenze alimentari.


Soli. Lo siamo stati con il “primo lock down”.

Poi siamo tornati ad esserlo con il secondo, con le sue diversità cromatiche di carattere regionale che non possono nascondere gravità e “strutturalità” della situazione sanitaria.  

E la conseguente drammaticità delle crisi sociale ed economica che ne discende e che è destinata ad acquisirsi drammaticamente.

Nel primo lock down, ci pareva che poter “andare al supermercato” fosse una parvenza di “libertà ritrovata”.

Una parvenza, appunto. Più legata al desiderio di “uscire di casa” che al modello che ci veniva proposto. 

Se ci pensavamo avremmo potuto capire che proprio la produzione industriale (in particolare agro industriale) portata all’estremo sta uccidendo la biodiversità e crea le condizioni per innescare la pandemia.

Ne ho già parlato sulla Finestra sulla prevenzione dei rifiuti.

Il 2 aprile 2020 introducevo la riflessione sul “nulla sarà più come prima” parlando ci come  “Il blocco di tutte le attività industriali, economiche e di servizio, non indispensabili alla cura e alla sopravvivenza, immiserisse la nostra natura di consumatori compulsivi”[1].

Il 28 maggio 2020, verso la fine della “fase 1”, quella del (primo) confinamento, nello svolgere alcune considerazioni sui rifiuti direttamente legate alla pandemia (i Dispositivi di Protezione Individuale  –  DPI) introducevo il tema della convivenza col virus (necessaria fino a quando avremo a disposizione un vaccino e/o cure efficaci e sicure).

Richiamavo l’origine della pandemia nella zoonosi, il salto di specie operato dal pipistrello all’uomo, cogliendo  la  specie ospitante (la nostra) totalmente alla sprovvista.  Ricordavo che la sua diffusione iniziale è stata maggiore nelle aree più inquinate, dove ha attaccato polmoni già debilitati dallo smog[2].

Sappiamo che su alcuni piani certamente la crisi ha fatto (e probabilmente farà ancora) bene all’ambiente.

Vedasi ad es. per la riduzione delle emissioni, specie se il persistere o il rinnovarsi di blocchi della produzione industriale o la rarefazione degli spostamenti dovessero rendere strutturali dinamiche segnalate come congiunturali dopo il (primo) lockdown,  A mesi di distanza per il Natale e il capodanno saranno bloccati impianti da sci gli spostamenti tra Regioni, con la conseguente diminuzione dei emissioni da trasporti (e da attività produttive).

Ma non si può pensare che il miglioramento nasca dall’impoverimento produttivo e relazionale dei diversi “blocchi, dalla crisi di intere economie (in particolare di quelle legate al turismo – Venezia docet …)  né che la salvezza stia del ripetersi di crisi e lockdown e nell’alternarsi di aperture e chiusure produttive.

Dobbiamo invece cambiare paradigma.

Se non ci limitiamo ad aspettare il vaccino, ma stiamo cercando di affrontare la pandemia e difenderci dagli aspetti sanitari della crisi, dobbiamo lavorare per (e non solo aspettare) un cambiamento del nostro assetto produttivo, specie nei settori che hanno provocato la crisi.

La pandemia ci ha messo in una situazione per uscire dalla quale non possiamo limitarci a intervenire sul fine ciclo (la cura degli aspetti sanitari, peraltro ancora così “indietro”) ma dobbiamo intervenire a monte e sulle cause.

Dobbiamo modificare quel modello di produzione che di questa crisi è stato elemento scatenante.   Chi temeva per una possibile catastrofe planetaria se la sarebbe aspettata dal riscaldamento globale; o dalla perdita di controllo sull’’industria degli armamenti o dell’industria a chimica. 

Invece è venuta dall’agricoltura.

Per questo voglio fermarmi sul settore primario, e in specifico sulla filiera del cibo e sui cambiamenti che la crisi può consolidare o invertire.

Partiamo da un argomento di cui si è ampiamente trattato su queste pagine perché legato alla produzione dei rifiuti: lo spreco alimentare[3].

Sulla Finestra sulla prevenzione dei rifiuti se ne è parlato in diverse occasioni

Qui basti riprendere i dati di una recente ricerca[4]  che ci rivela che ogni italiano “butta” ogni anno una trentina di chili di cibo.  Quasi tre sono i kg per abitante “sprecati” dai punti vendita. 

Nel 2020  vi è stata (il 29 settembre) la prima edizione di una “Giornata internazionale di consapevolezza sulla perdita e lo spreco alimentare” con la quale la Fao ha lanciato un messaggio molto chiaro e semplice, che deriva anche dal fatto che la crisi scatenata dal COVID – 19   ha acuito la fragilità e le debolezze dei nostri sistemi alimentari, lanciando un allarme globale sulla necessità di ripensarli, affrontando  i modi in cui il cibo viene prodotto, distribuito e acquistato.

“È necessaria un’azione a livello internazionale per massimizzare l’uso del cibo prodotto e rafforzare gli sforzi per ridurre le perdite e gli sprechi alimentari, al fine di evitare una crisi della sicurezza alimentare globale.”[5].    

La Fao ricorda infatti (citando dati del 2015) che il 38% del consumo totale di energia nel sistema alimentare globale viene utilizzato per produrre cibo che viene perso o sprecato (FAO, 2015a).

Anche la normativa ha fato recenti significativi passi in avanti che fanno acquistare una crescente centralità alla lotta allo spreco alimentare.

La U.E. intende darsi un programma di “Lotta allo spreco alimentare dell’UE”,attraverso il quale si propone di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030.

Perciò il 12 dicembre 2019 ha emanato le Recommendations for Action in Food Waste Prevention[6] (di seguito Raccomandazioni) per fornire il quadro di riferimento per impostare le azioni. 

Le Raccomandazioni  descrivono le azioni possibili e assegnano un ruolo alle autorità pubbliche (da quelle comunitarie a quelle nazionali e quelle locali) e agli attori ai diversi livelli della filiera. 

In Italia, il DLgs 116/20 ha recentemente introdotto modifiche all’art. 199 del DLgs 152/06 (sui Piani Regionali rifiuti).  Ora al comma 3 (lettera r) si dispone che nei programmi di prevenzione (di cui all’art.180) vadano descritte anche le misure per la riduzione dei rifiuti alimentari nella produzione primaria, nella trasformazione e nella fabbricazione e nel consumo.

Se incrociamo queste indicazioni con quelle delle Raccomandazioni comunitarie, capiamo che la lotta allo spreco alimentare va portate sui seguenti livelli:

  • produzione agricola primaria,
  • produzione agroindustriale;  
  • settore commerciale (ingrosso e dettaglio);
  • servizi alberghieri e di ristorazione;
  • consumo.

E’ interessante notare che parallelamente alle “dinamiche di mercato” che hanno portato sempre più il settore primario e utilizzare il terreno agricolo come supporto per una  produzione chimicamente “protetta”  e incentivata a scapito della biodiversità  (con la paradossale compresenza di problemi di sovrapproduzione e carenza alimentare e con il rischio di aprire le porte a spillover e zoonosi) è andata crescendo l’attenzione ad una rinaturalizzazione dell’agricoltura e della sua funzione sociale di soddisfare in modo generalizzato, ma anche sano,  il diritto al cibo.

Questo passaggio presuppone certamente un cambio radicale del rapporto tra terreno e colture, che preveda un supporto alla coltivazione di carattere organico e non di sintesi (fitofarmacopea naturale, fertilizzazione organica, compostaggio e lombricompostaggio, ecc. ).

Ma presuppone anche che il diritto alla terra e al cibo, oggi crescentemente in mano ai manager agroindustriali e delle catene nazionali e supernazionali della Grande Distribuzione Organizzata, torni in mano alla comunità. 

Per assicurare la “sovranità alimentare” è necessario partire dai contadini e dalla loro capacità di coltivano la terra in modo naturale e difendere la biodiversità.

Un recente rapporto dell’Ispra[7] fa notare che considerando solo i rifiuti prodotti, a parità di risorse usate i sistemi agricoli diversificati e di piccola scala producono da 2 a 4 volte meno sprechi rispetto ai sistemi agroindustriali.   

Questi sistemi consumano molte meno risorse e sono più sostenibili nel medio-lungo periodo e forniscono un valore nutrizionale superiore. 

A scala globale l’agricoltura di piccola scala produce il 70% dell’intera produzione agricola, con il 25% delle terre occupate. 

Il rapporto sostiene che alcuni studi mostrano che: 

  • le filiere corte-biologiche-locali consentono di ridurre gli sprechi pre-consumo al 5% rispetto al 40% dei sistemi agro-industriali; 
  • chi si rifornisce solo in reti alimentari alternative (ad es. attraverso i GAS -Gruppi di Acquisto Solidale) spreca fino a un decimo rispetto a chi usa solo canali convenzionali; 
  • i sistemi delle Comunità di Sostegno all’Agricoltura (CSA) riducono gli sprechi al 7% contro il 55% dei sistemi di grande distribuzione. 

Il rapporto evidenzia la necessità di indagare più approfonditamente il confronto tra l’efficienza dei sistemi alimentari diversificati rispetto ai sistemi agricoli intensivi e agro-industriali in termini di uso e consumo di risorse.

I contadini possono diventare migliori difensori dell’ecologia se coltivano in modo naturale, difendono la fertilità del terreno agricolo anziché spremerlo e uniformarlo come fa la grande agricoltura industriale meccanizzata e monocolturale.

E i migliori alfieri della “sovranità alimentare”, definita come  “il diritto di tutti i popoli (nelle forme politiche concrete che si danno) di decidere il proprio modello di produzione, distribuzione e consumo degli alimenti”. Un diritto che non solo non nega gli scambi e le relazioni ma li definisce in un quadro di equità e solidarietà[8] .

Ma la sovranità alimentare si costruisce se a governare i processi il rispetto della terra viene prima dello sviluppo del mercato.  Se si costruiscono reti (locali) e reti di reti (a livello nazionale e supernazionale) tra contadini produttori, mercati e comunità.   E’ un processo in lenta, ma progressiva crescita. 

Allora associazioni di categoria e singoli soggetti  vanno chiamati ad azioni specifiche, da articolare rispetto al ruolo che ognuno di essi ha nella filiera del cibo. Eccone alcune nei suoi diverse punti.

Produttori agricoli primari (che producono rifiuti speciali):

Industria agro alimentare (che producono rifiuti speciali):

Distribuzione commerciale (che produce rifiuti urbani):

  • inserire  la prevenzione dello spreco alimentare in strategie aziendali condivise e formare il personale in questo senso;
  • digitalizzare e automatizzare gli ordini e per ottimizzare la gestione degli scaffali, migliorare le politiche di restituzione;
  • scoraggiare l’acquisto eccessivo degli stessi alimenti, ma piuttosto scontarli;
  • mettere in sconto i prodotti vicini alla scadenza avviarli a ricondizionamento e trasformazione;  
  • fare campagne anti-spreco soprattutto nei momenti di potenziale deriva consumistica – quali Natale e Pasqua;
  • fornire informazioni per ridurre lo spreco di cibo (info su conservazione e ricette);
  • definire una marcatura precisa della data di scadenza  che  garantisca una lunga durata senza compromessi su sicurezza o qualità;
  • rendere la ridistribuzione delle eccedenze alimentari più conveniente per i dettaglianti rispetto all’affidamento al circuito dei rifiuti.
  • Far si che il personale aiuti i clienti nella scelta del menu, per la disponibilità di piatti e la dimensioni delle porzioni;
  • rafforzare le scelte salutistiche e che premiano la sostenibilità degli alimenti;
  • incoraggiare a portare a casa i resti del pasto
  • redistribuire le eccedenze alimentari sulla base dei principi di prossimità di offerta e domanda

I consumatori (che producono rifiuti urbani):

  • aumentare la consapevolezza sulle motivazioni per prevenire lo spreco alimentari (risparmio economico e ambientale),  sottolineando l’impatto ambientale e aspetti etici delle scelte alimentari, puntando a cambiare la mentalità e i valori dei consumatori e a sfidare il consumismo;
  • incoraggiare buone pratiche, quali; partecipazione attiva a Comunità di sostegno all’agricoltura (CSA) e Gruppi di acquisto solidale (GAS);
  • promuovere forme di recupero e redistribuzione delle eccedenze alimentari.  

E con quest’ultima opportunità torniamo, per chiudere, al punto di partenza.

Produttori biologici[9], mercati locali[10], gruppi di acquisto solidali[11], comunità di sostegno all’agricoltura[12].   Parole, concetti, pratiche.  Di sostenibilità ambientale. 

Dal cui intreccio può nascere una nuova concezione del diritto al cibo.

Che non produca sprechi.

Ma fino a che si producono che si ponga il problema almeno di recuperarli e destinarli ad “alimentazione solidale”.

Questa forma di recupero e sottrazione al destino di rifiuto del più indispensabile dei beni di cui abbiamo bisogno, quello alimentare, è paradigmatica.

Perché dimostra che il recupero dello spreco alimentare non cade dal cielo, né tantomeno è prodotto dalla mitica “manina” del mercato, che anzi spinge direttamente e fortemente nella direzione contraria.   Passa invece per le nostre scelte, individuali e collettive.   Per una piena e soggettiva coscienza della necessità di introdurre azioni sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale.

Ed ecco nascere e svilupparsi nel tempo azioni come quella del volontariato bresciano, riunito attorno dell’Associazione Maremosso BS, che negli ultimi 20 anni è stata capace di costruire e gestire al meglio un “servizio” di Dispensa Sociale, uno spazio aperto e connesso al territorio, presso cui lavorano 6 lavoratori dipendenti, affiancati da 80 volontari che dedicano il loro tempo per le attività di ritiro, selezione e distribuzione delle eccedenze alimentari, secondo la schema illustrato in figura

Il settore agricolo e la filiera del cibo sono una dimostrazione di come comnci a prendere corpo quella che potremmo chiamare “società della cura”. 

Una società capace di guardare alla terra come elemento vivo e da tattare con il rispetto e le attenzioni ambientali che ne favoriscano il mantenimento della fertilità e la possibilitàa di nutririci in modo qualitativamente prima che quantitativamente adeguato.

E in grado di essere il primo presidio per la salvaguardia della nostra salute.

E a chi la lalvora come al soggetto prinsipale per la cusutdia della sua capacità di produrre nel tempo.

Questo settore spiega come sostenibile è il progersso che si basa sui rapporti e negli scambi tra comunità, basati sulla conoscenza dei ruoli che ogni soggetto può e deve giocare per mantenere un equilibrio complessivo e sul riconoscimento a tutti del giiusto compenso per il loro lavoro (che in questo settore è – direttamenteo indirettamente – anche lavoro di cura).

E come viceverrsa le dinamiche di mercato e ispirate alla logica del profitto portano e sempre più porteranno a squilibri che non ci aspettavamo, mentre starvamo con la pancia piena sul divano davanti alla TV.

Chi averebbe mai pensato che dietro la porta del supermecato, cercando una sempre maggiore abbondanza di prodotti a prezzi sempre minori,  avremmo trovato una pandemia?

E che per tirarcene fuori avremmo dovuto ripensarci globalmente (cerchiamo di non essere tra quelli che – “ignorano quel tarlo mai sincero , per dirla col Guccini della “Canzone di notte n.2 “)


[1] https://www.labelab.it/dfgh987/coronavirus-nulla-potra-essere-come-prima/

[2] https://www.labelab.it/dfgh987/la-crisi-del-corona-virus-i-rifiuti-il-cambiamento-climatico-uno-sguardo-preoccupato-e-qualche-riflessione-sulle-prospettive-di-ripartenza-al-termine-della-fase-uno/

[3] V. ad es. https://www.labelab.it/dfgh987/la-giornata-mondiale-contro-la-spreco-alimentare-5-febbraio-2019/

[4] ‘Cibo e innovazione sociale’,; v. in  https://www.adnkronos.com/soldi/econ[4]omia/2020/10/19/spreco-alimentare-italia-ogni-persona-butta-cibo-all-anno_Dkj3IGAMbJOJx5vWWLQVNJ.html La ricerca è condotta da Fondazione Feltrinelli in collaborazione con l’Osservatorio permanente Cirfood. Cirfood si (auto) presenta come “una delle maggiori imprese italiane nel campo della ristorazione organizzata, commerciale e collettiva, e dei servizi alle imprese.” Aggiungendo, per qualificarsi “Mettiamo al centro le persone con una politica di sviluppo che ha a cuore la sostenibilità sociale, economica, ambientale e culturale”.

[5] https://ilfattoalimentare.it/spreco-alimentare-fao-giornata.html

[6]  fs_eu-actions_action_implementation_platform_key_recommendations.pdf (europa.eu)

[7] Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali — Italiano (isprambiente.gov.it)

[8] Definizione ripresa nel 2007 dalla dichiarazione di Nyéléni (villaggio nel comune di Sélingué, Mali) a conclusione del forum sulla sovranità alimentare. V. anche Costituzione dell’alleanza – Per la Sovranità Alimentare.

[9] https://www.bing.com/videos/search?q=agricoltura+biologica&&view=detail&mid=0BCFDF7FEF40BF7A29A90BCFDF7FEF40BF7A29A9&rvsmid=559ED03711BC68591AB1559ED03711BC68591AB1&FORM=VDQVAP

[10] I MERCATI DEL CONTADINO IN ITALIA (spesadalcontadino.com)

[11] Gruppo di acquisto solidale – Wikipedia

[12] Cosa sono le Comunità a Sostegno dell’Agricoltura? | Anter (anteritalia.org)