Ogni tanto è bene aggiornare questa valutazione di uno dei maggiori “indici di insostenibilità” del nostro tempo
Il Ministero dell’Ambiente con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna e con Swg ha elaborato, nell’ambito del progetto Reduce 2017 i dati emergenti da un test compiuto su un campione di 400 famiglie di tutta Italia, e chiamato “Diari di Famiglia”.
Queste famiglie hanno annotato su formulari composti da parti compilative e chiuse il cibo gettato ad ogni pasto, con annessa motivazione.
I risultati completi saranno resi noti nell’ambito di un convegno internazionale a febbraio 2018, in occasione della quinta Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco alimentare.
Ma già le anticipazioni ministeriali si prestano a qualche utile considerazione, ad un anno dall’entrata in vigore della Legge per la limitazione degli sprechi, l’uso consapevole delle risorse e la sostenibilità ambientale, la cosiddetta Legge Gadda.
Lo studio valuta a 15,5 miliardi di euro il valore del cibo che finisce nella spazzatura.
È un valore pari allo 0,94% del Pil.
I ricercatori sono stati in grado di distribuire le responsabilità dello spreco tra i soggetti che operano lungo tutto la filiera alimentare. Ne risulta che:
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946.229.325 euro derivano da sprechi alla produzione;
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1.111.916.133 euro da scarti della produzione industriale;
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1.444.189.543 euro da sprechi nella distribuzione;
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12 miliardi di euro vanno attribuiti dello spreco domestico reale (quello percepito si ferma a 8 miliardi).
Se quindi sono 3,5 i miliardi annui di spreco che derivano dalle attività economiche della filiera, i 12 miliardo di “spreco domestico” significano che alle famiglie vanno attribuiti i 4/5 dello spreco alimentare complessivo generato lungo la filiera.
Il dato strutturale ci dice quindi che c’è poco da stare allegri, sia per le dimensioni comunque rilevanti dello spreco tra le attività economiche (tra le quali c’è ampio spazio di razionalizzazione dei comportamenti) e per il suo concentrarsi sui comportamenti delle famiglie.
Questo mentre l’Osservatorio Waste Watcher (Last Minute Market/Swg) constata una crescita della sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questo tema, stimando 7 cittadini su 10 sono a conoscenza della nuova normativa e oltre il 91% considera grave e allarmante la questione spreco legata al cibo, mentre l’81% dei cittadini si dichiara consapevole che il cambiamento deve avvenire innanzitutto nel quotidiano.
Riprendo alcune delle proposte più recenti par andare (ulteriormente) oltre.
La prima è quella della campagna Spreco Zero 2017, che ha introdotto ‘Waste Notes’, il Diario settimanale scaricabile online che sensibilizza la famiglia sullo spreco del cibo1.
Provare a fare un esercizio di questo tipo è un modo per capire, e combattere, lo “spreco che si annida dentro e vicino a noi”; infatti “permette di capire – come sottolinea Luca Falasconi responsabile scientifico del progetto Reduce, -che proprio la quotidianità delle nostre azioni determina la produzione di spreco alimentare, ogni giorno. Il frigo, la dispensa, e le mense scolastiche sono tra i principali luoghi dove ogni giorno cibo ancora perfettamente buono e sano inizia il suo percorso verso la discarica”.
Le parole di Falasconi sono rafforzate e articolate da quelle di Andrea Segrè, direttore scientifico della Campagna europea di sensibilizzazione ‘Spreco Zero’ di Last Minute Market, che ci ricorda che “Lo spreco alimentare è un tema su cui sensibilizzare innanzitutto i giovani, dai bimbi ai millennials della generazione Z, perché saranno loro a guidare il mondo”.
Non a caso propone di varare un Anno Europeo sullo Spreco alimentare, perchè si tratta di una questione globale, che richiede campagne capillari per lo meno a livello dei paesi Ue.
Va rilevato che dopo Expo 2016 “nutrire il pianeta” e a seguito delle posizioni serie e impegnative assunte da papa Francesco, la questione dello spreco alimentare sta cominciando ad affacciarsi seriamente in azioni e programmi che impegnano le istituzioni, il mondo economico e sanno invertire la cultura dello spreco anche nei comportamenti domestici.
La storia e l’evoluzione delle iniziative (come quella sulla qual ci siamo soffermati oggi) nate attorno alla “legge anti spreco”, la costruzione di “reti territoriali contro lo spreco alimentare” da parte di Regione Lombardia2 sono esempi di questa evoluzione.
Ed è proprio per dare evidenza al fatto che lo spreco alimentare è uno dei principali “indicatori di insostenibilità dello sviluppo” che la sua valutazione dovrebbe entrare nelle politiche economiche e ambientali.
Ed essere misurata, per valutare l’efficienza della filiera alimentare in tutto le sue parti: produzione, trasformazione industriale, distribuzione, consumo, post consumo- qui anche in relazione alle politiche di prevenzione e gestione rifiuti.
Per essere quindi un segnale della loro (in)efficienza – ambientale ed anche economica.
Sulla definizione di adeguati indicatori, da inserire nei “conti economici” sui rifiuti, ma anche nel piani economici di filiera, va aperto un dibattitto. Esso è stato reso urgente anche dal recente studio della corte dei conti europea3, che critica l’assenza d coordinamento e perciò l’inefficacia delle politiche europee di contrasto allo spreco (…l’assenza di una definizione comune di spreco alimentare e di parametri condivisi per misurarlo, così come la presenza di barriere amministrative che limitano le possibilità di donazione ostacolano un’azione coerente e chiara contro lo spreco di cibo a livello Ue.).
Intanto, per restare ad un primo livello “descrittivo”, sarebbe utile far entrare in questi conti il peso percentuale dello spreco sui RUR, ma anche il suo peso sulla produzione, sulla trasformazione alimentare, sulla distribuzione commerciale, con evidenziazione quote attribuibili alle diverse parti della filiera.
Per poi andare avanti, legando però direttamente la scelta degli indicatori alla loro utilità per la messa a punto e per la gestione e di azioni e politiche possibili e monitorabili.