I siti contaminati sono un importante fattore di rischio per la salute umana. Per questo la Regione Calabria ha effettuato una ricerca sistematica delle aree contaminate da bonificare e ha costruito, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, la rete epidemiologica e di salute di popolazione a supporto della governance.
Su impulso del European Centre for Environment and Health di Bonn, parte dell’Ufficio Regionale Europeo dell’Oms (WHO European Regional Office), sono state sviluppate metodologie per valutare lo stato di salute delle popolazioni che risiedono nei siti contaminati. L’Italia ha contribuito a questo processo con il Progetto SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e sostenuto dal ministero della Salute.
Ne è scaturito per la Calabria il Rapporto Istisan “Studio epidemiologico dei siti contaminati della Calabria: obiettivi, metodologia, fattibilità”, curato da Pietro Comba (capo del reparto di epidemiologia ambientale e sociale dell’Istituto Superiore di Sanità) e Massimiliano Pitimada, dottore forestale, che illustra obiettivi e procedure di un piano permanente di sorveglianza epidemiologica della popolazione residente nei siti contaminati della Calabria e un percorso di comunicazione con le comunità coinvolte, gli amministratori e i media.
Come riportato dal Piano delle Bonifiche (2012), ci sono 48 siti che necessitano di una bonifica in Calabria; 20 ricadono in provincia di Cosenza, 2 ricadono in provincia di Crotone, 5 ricadono in provincia di Catanzaro, 5 ricadono in provincia di Vibo Valentia e 16 ricadono in provincia di Reggio Calabria.
Di questi 48, 18 sono stati definiti ad alto rischio ambientale e sono così distribuiti: 7 ricadono in provincia di Cosenza, 2 ricadono in provincia di Catanzaro, 1 ricade in provincia di Vibo Valentia e 8 ricadono in provincia di Reggio Calabria.
In Calabria c’è una diffusa percezione del rischio associato alla contaminazione ambientale, a livello degli amministratori locali, dell’associazionismo e dell’opinione pubblica, che è testimoniata in particolar modo dal mondo dei media.
Il Rapporto indica la necessità di approfondire il tema formulando una vera e propria “Proposta di uno studio epidemiologico della popolazione residente nei siti contaminati della Regione Calabria”.
Il rapporto è strutturato 18 capitoli ed è nato dalla sinergia tra gli “attori” principali: Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Istituto Superiore di Sanità (ISS), Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Ministero dell’Ambiente e del Territorio e del Mare, Associazione Italiana dei Registri Tumori (AIRTum), Istituto Studio e Prevenzione Oncologica (ISPO), Dipartimento Tutela della Salute e delle Politiche Sanitarie – Regione Calabria, ARPACal, Registro Tumori della provincia di Catanzaro.
Nei vari capitoli si affronta la tematica con argomenti tecnico-scientifici a livello generale e si analizza l’area oggetto di studio e quindi la Calabria.
Avendo le Regioni maggiori autonomia nella pianificazione sanitaria, si sottolinea che la funzione epidemiologica è tra le componenti più importanti nella “governance” sanitaria.
Per quanto riguarda la metodologia da utilizzare, sono riportati quattro “case-study” (dove viene fatto un primo quadro dello stato di salute con dati prodotti dal gruppo di lavoro): – il sito di Interesse Nazionale di Crotone – Cassano – Cerchiara – le due aree ad “alto rischio ambientale” Lamezia Terme e Davoli – infine sono state scelte due aree sotto il controllo della Magistratura e dal mondo dell’associazionismo: la Valle dell’Oliva
La proposta di studio prevede di creare un tavolo di lavoro dove siedano Istituzioni centrali, regionali e locali con competenze in materia di protezione dell’ambiente e tutela della salute, per mettere in condivisione dati e informazioni per una enumerazione dei siti contaminati della Calabria che abbiano un potenziale impatto sanitario e per i quali sia quindi indicata la conduzione di uno studio epidemiologico.
Tutti questi siti devono successivamente essere oggetto di una prima analisi socio-ambientale e demografica, volta a valutare l’appropriatezza e la fattibilità di uno studio di mortalità/morbosità di tipo geografico.
Il rapporto è disponibile al seguente link
Fonte: Quotidianosanità.it