L’Università di Messina mette a punto un protocollo per utilizzare come cibo per gli animali, come fertilizzanti o per altri scopi industriali e farmaceutici frutta e gli ortaggi scartati, non più utilizzabili per l’alimentazione umana – ma ancora dotati di importanti proprietà nutrizionali
Sono sufficientemente esplorate le possibilità di destinare eccedenze e scarti alimentari all’alimentazione umana.
Ma quando ci si trova di fronte a scarti che non hanno più caratteristiche tali da rientrare in questo circuito, ma conservano magari ancora buone proprietà nutritive, che fare per non sprecarle?
Una domanda che trova il suo senso nel fatto che (secondo gli autori dello studio) in Italia si scartano in media 180 kg/pro capite di cibo ogni anno, il 60% del quale è rappresentato da ortofrutta e che è sotto gli occhi di tutti la quantità di rifiuti che lascia sul terreno un mercato ortofrutticolo a fine giornata lavorativa.
L’idea di partenza è quella ci coniugare il beneficio ambientale della riduzione dei rifiuti ad un vantaggio economico, derivante dal fatto che l’industria dei mangimi pesa sulla bilancia commerciale italiana, in quanto importa circa l’80% delle materie prime.
L’Università di Messina, con la responsabilità scientifica di Vincenzo Chiofalo, ha perciò sviluppato il progetto SAVE, inaugurato nel luglio 2015 con Alessio Ciacci, amministratore di Messinambiente e il Comune di Messina e i cui risultati sono stati presentati di recente nel corso di un convegno di chiusura svoltosi presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie1.
Il progetto di ricerca è stato finanziato dal MIUR nell’ambito del programma Smart Cities, ed ha portato alla creazione di un sistema intelligente per la sostenibilità ambientale, sociale ed economica della filiera alimentare attraverso la valorizzazione degli scarti biologici di produzione, la riduzione degli sprechi del sistema distributivo e dei consumatori e l’utilizzo alternativo degli sprechi residui come prodotti per le aziende zootecniche, della produzione dei mangimi e dell’agroalimentare.
Per farlo si è avvalsa anche del Consorzio di Ricerca Filiera Carni, ente di certificazione dell’agroalimentare e con laboratori certificati da Accredia, di uno spin off Chromaleont capace di mettere a punto metodiche di analisi tecnologicamente avanzate con analisi in tempi brevi delle componenti nutrizionali dello spreco alimentare, e del Centro di competenza per le tecnologie dei trasporti MIT, che ha curato tutta la fase di tracciabilità e della logistica degli scarti ortofrutticoli. Ha quindi operato in maniera coordinata con la rete delle aziende per sostenere un percorso di filiera e mettendo a punto un modello applicativo per le imprese che operano nel settore dell’agroalimentare, riuscendo a dare risposte e vantaggi diretti già al gruppo Fiorino Despar, soggetto proponente il progetto per l’eliminazione degli scarti dai banconi dei supermercati.
Il progetto ha visto il coinvolgimento dei Comuni di Messina, Cosenza e Ragusa. e si è articolato in tre linee di ricerca.
1. la prima ha sperimentato il riutilizzo degli scarti dell’ortofrutta per il recupero di sostanze bioattive, dopo una fase di controllo della qualità e di monitoraggio del deterioramento degli scarti.
Queste sostanze bioattive trovano utilizzo nell’industria cosmetica, farmaceutica e nell’industria alimentare.
2. la seconda ha sperimentato il riutilizzo degli scarti, adeguatamente trattati, per l’alimentazione degli animali, dopo analisi di laboratorio dal punto di vista nutrizionale, parassitologico e igienico sanitario.
Il processo di trasformazione da scarto a mangime prevede:
– la cernita degli scarti dell’ortofrutta, scaduti (non più freschi) e scartati perché non commercializzabili.
– L’accumulo degli scarti in una cella frigo a 4°C, per arrivare allo stoccaggio di almeno 20.000 kg di prodotto.
– l’utilizzo di un carro miscelatore, per triturare e miscelare il prodotto con paglia. Il prodotto è insilato in una trincea dove si sviluppa un processo di acidificazione della massa vegetale a opera di microrganismi anaerobi e, dopo circa 20 giorni, è pronto per diventare materia prima per animali.
Nel corso del progetto sono state effettuate numerose valutazioni sulla qualità sia dell’insilato di ortofrutta che del mangime, con processi certificati, non solo per quanto riguarda l’alimentazione animale, ma anche valutando gli effetti dell’utilizzo di tale mangime sul prodotto derivato: latte, formaggi, carni. I mangimi possono essere utilizzati per bovini, suini, ovini e si rendono disponibili direttamente in azienda, grazie alla tecnica dell’insilamento (una tecnica di conservazione del foraggio).
Nella sperimentazione è stato coinvolto il Consorzio di Ricerca Filiera Carni e tutte le valutazioni sul processo sono risultate positive.
Nel corso del progetto, per le fasi di analisi degli scarti e per la valutazione del ciclo produttivo, sono state sviluppate tecnologie innovative, come il naso elettronico, l’occhio elettronico e la lingua elettronica, che consentono di fare analisi in tempi molto rapidi.
Tutto il processo, dalle fasi di produzione alla trasformazione degli alimenti, è interamente certificato.
Ho voluto ospitare una sommaria descrizione di questo progetto nella Finestra sulla prevenzione dei rifiuti per il suo carattere tendenzialmente “industriale” e per il suo approccio circolare. Che dimostra bene come la gestione dei (non ) rifiuti quando approccia l’economia vi apporta il valore aggiunto dato dal risparmiare sul loro trattamento e dal guadagnare dall’usarli come risorse.
1http://unime.it/_slider_in_evidenza/premio_smau_innovation_al_progetto_save_di_unime-40619.html 8888999999