In occasione della IV edizione del Forum Acqua L’impronta idrica come strumento di adattamento alla crisi climatica Legambiente ha lanciato la proposta di utilizzare l’impronta idrica come strumento per il miglioramento dell’efficienza d’utilizzo della risorsa idrica di settori, processi e prodotti e di adattamento alla crisi climatica.

In Italia ogni anno si consumano oltre 26 miliardi di m³ di acqua: 

  • il 55% circa della domanda proviene dal settore agricolo,
  • il 27% da quello industriale
  • il 18% da quello civile. 

Il prelievo di acqua supera però i 33 miliardi di m³ l’anno. Infatti, i consumi rappresentano, poco meno del 78% dei prelievi a causa di un ammontare di perdite pari a circa il 22% del prelievo totale e di queste perdite il 17% si verificano nel settore agricolo e il 40% in quello civile.

L’impatto sulla risorsa idrica del nostro Paese è molto più di quanto raccontato. Secondo i dati del water footprint network, infatti, l’impronta idrica dell’Italia è stimata in circa 130 miliardi di m³ all’anno, una delle più alte d’Europa, di cui il 60% è relativo all’acqua utilizzata per prodotti o ingredienti importati dall’estero. Numeri non più sostenibili su cui bisogna intervenire rapidamente.

Da qui la proposta di Legambiente: adottare un approccio integrato e multi-sistemico, basato proprio sull’impronta idrica, allo scopo di assumere, lungo tutto il ciclo dell’acqua, un atteggiamento più responsabile e sostenibile. Obiettivi di questo approccio sono: 

  • migliorare la gestione delle risorse idriche: riducendo i rischi provocati da un eccessivo sfruttamento o inquinamento delle fonti d’acqua, per quest’ultimo occorre quanto prima completare la rete fognaria e di depurazione ed eliminare gli scarichi industriali, portando ad una maggiore disponibilità e qualità della risorsa; 
  • migliorare la sostenibilità ambientale dei processi; identificando gli impatti sull’ambiente naturale ed individuando le modalità per la loro diminuzione;
  • aumentare la consapevolezza nei confronti dei consumatori finali e dei produttori, incrementando anche la responsabilità;
  •  cambiare il modello di gestione dell’acqua in ambito urbano, a partire dalla progettazione e realizzazione di edifici e degli spazi pubblici.
  • partire dall’utilizzo dell’impronta idrica, per raccontare al consumatore, tramite l’etichetta posta sui prodotti, l’impatto che questo ha sulle risorse idriche, indirizzandolo verso consumi più consapevoli.

Secondo Legambiente le buone pratiche da diffondere saranno:

  • inserire tra le norme richieste dai CAM la Water Footprint, soprattutto nell’ambito dell’acquisto di prodotti, contribuendo a tenere sotto controllo gli impatti idrici;
  • pianificare gli usi dell’acqua arrivando ad avere una visione d’insieme sull’impatto che, la “somma” delle attività, genera in un territorio;
  • per quanto riguarda l’uso potabile, agire su prelievi e consumi, riducendo le perdite degli acquedotti e dando priorità alla rete di distribuzione cittadina; 
  • a livello urbanistico sarà necessario spingere verso la riqualificazione idrica degli edifici e degli spazi urbani, promuovendo il recupero e riutilizzo dell’acqua in tutti gli interventi edilizi, diffondendo i principi di efficienza idrica degli edifici, lavorando sull’adeguamento degli impianti esistenti implementando il risparmio idrico;
  • i Regolamenti Edilizi comunali possono indirizzare verso il risparmio idrico, il recupero delle acque meteoriche e/o di quelle grigie; 
  • completare la rete fognaria e realizzare interventi volti alla separazione delle acque reflue civili da quelle industriali e di prima pioggia; 
  • a livello industriale occorre ridurre i consumi di acqua “nuova”, progettare impianti e processi che minimizzino l’utilizzo di acqua, monitorare per individuare perdite e sistemarle, rendere per le fabbriche obbligatorio il calcolo dell’impronta idrica e pubblici i bilanci di massa rispetto all’acqua utilizzata e scaricata, oltre i dati relativi alla sua qualità.
  • completare la rete di depurazione, ancora oggi incompleta e riqualificare gli impianti di depurazione esistenti, spesso inefficienti, sottodimensionati e in difficoltà, e costruire gli impianti nuovi;
  • innovare il sistema agroalimentare italiano con finanziamenti fortemente orientati a favorire il minor consumo di acqua, la diffusione di colture e sistemi produttivi meno “idroesigenti”, misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei suoli agrari e della loro capacità di trattenere l’acqua e a contenere i consumi irrigui entro la soglia dei 2.500 metri cubi ettaro anno.

Durante l’evento importante anche il messaggio del vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo. Per i gestori del servizio idrico integrato, ha spiegato, il tema della salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali viene affrontato in ottica di gestione circolare e resiliente. Tuttavia, è fondamentale agire in una logica integrata che, oltre alla maggiore efficienza delle infrastrutture idriche e della gestione degli usi idropotabili, intervenga sui diversi utilizzi della risorsa e sulla razionalizzazione dell’intero ciclo di vita dell’acqua, anche nella sua impronta ‘invisibile’. In analogia ad esperienze già mature nel settore energetico come, ad esempio, quella dei certificati bianchi, sarebbe auspicabile l’adozione di meccanismi incentivanti come i certificati blu, che potrebbero supportare e favorire politiche di risparmio, riuso e riutilizzo dell’acqua.

L’evento si è svolto lo scorso tre novembre presso il Centro Congressi Cavour di Roma e in diretta streaming sui canali social di Legambiente e La Nuova Ecologia. É stato organizzato dall’associazione ambientalista in collaborazione con Utilitalia, con partner principali Assocarta e Celli Group, partner Anbi e il patrocinio del Ministero della Transizione Ecologica e della Regione Lazio.

Per vedere la registrazione audiovisiva della mattina clicca qui.

Il comunicato stampa di Legambiente qui.

Fonte: Legambiente