Sulla necessità di individuare specifici indicatori di prevenzione e riduzione dei rifiuti nella valutazione della sostenibilità complessiva del ciclo di vita di prodotti e servizi.
Nei più di vent’anni durante i quali mi sono occupato di rifiuti mi si sono sempre maggiormente chiarite due cose che cominciavo appena a percepire quando, in partenza, lavoravo sui sistemi di raccolta:
a) la gestione dei rifiuti parte dalla loro prevenzione;
b) per fare prevenzione non bisogna partire dal rifiuto ma dal bene (servizio): da come è prodotto, distribuito, consumato.
In questi anni la normativa comunitaria di gestione dei rifiuti (e, pur con i dovuti ritardi, quella nazionale di recepimento) ha sempre più spostato l’accento sulla rilevanza della prevenzione, intesa nel doppio senso di riduzione della quantità di rifiuti e riduzione degli impatti negativi sull’ambiente e la salute.
Da qui la centralità assegnata, più e oltre che ai (tradizionali) interventi di gestione del rifiuto a valle, agli interventi lungo tutto il ciclo di vita, che trovano nella politica integrata di prodotto un fondamento oggettivo e nella responsabilità estesa del produttore un presupposto soggettivo.
Oggi sono sempre maggiori le attenzioni rivolte alle azioni lungo tutta la catena di fornitura di beni e servizi, tese a valutarne gli impatti lungo tutto il ciclo di vita: dal consumo di risorse (energetiche e materiche), all’immissione di gas serra, alle condizioni di vita e lavoro e alle ricadute sulla salute dell’uomo.
I competitori segnalano sempre più spesso i caratteri performanti di prodotti/servizi che immettono sul mercato, attraverso indicatori che ne valutano le prestazioni energetiche, il minor uso di materie prime, il contenimento delle emissioni, la riduzione dei rifiuti prodotti[1].
In questo quadro spicca la recente presentazione ufficiale di quel tool Conai sulla prevenzione di cui mi sono occupato da poco su questa rubrica (http://www.rifiutilab.it/dettaglio_doc.asp?id=2803&menuindex=).
Conai aiuterà i suoi associati a definire, sulla base dei dati raccolti con il questionario messo a punto per partecipare al “Dossier prevenzione”, una LCA semplificata basata su tre indicatori (CFP Carbon footprint; water footprint:, consumo di energia totale).
Il consorzio ritiene in questo modo che i suoi associati possono essere incentivati a puntare sull’innovazione e a qualificare sempre più i loro prodotti nel segno della sostenibilità ambientale, ben descritta in prima battuta dai tre indicatori citati. Questo per andare oltre gli obiettivi già perseguiti con il progetto Pensare futuro – v. i Dossier prevenzione e gli Oscar dell’imballaggio.
Ribadisco che mi sembra condivisibile questo approccio che valuta gli impatti del bene/servizio su tutto il ciclo di vita, e non del “rifiuto” – che considera solo il “fine vita”.
Insisto però: noi dobbiamo valutare un ciclo che va non dalla culla alla tomba, ma dalla culla alla culla.
Cioè, in un’ottica della strategia rifiuti zero, a come trasformare l’utilità in utilità contenendo il prelievo di energia e materia e diminuendo o azzerando l’impatto su ambiente e salute umana.
In altre parole per chi si occupa dei rifiuti e della loro prevenzione serve mettere in campo, accanto e a completamento degli indicatori ambientali sull’uso delle risorse energetiche e sugli impatti sul cambiamento climatico (quali quelli considerati dal tool Conai) anche quelli che si riferiscono in modo specifico alla prevenzione (e minimizzazione) dei rifiuti.
Anch’essi, tra l’altro, hanno ripercussioni in termini di utilizzo del capitale naturale (non è indifferente l’utilizzo di materie prime vergini o “seconde”), di prospettive economiche (dai processi produttivi “puliti”, beni e servizi che riducono rifiuti e rifiuti da imballaggio, al mercato dei nuovi materiali alle filiere del riutilizzo – le cui potenzialità sono in gran parte da esplorare, almeno a livello “industriale”), sociale e relazionale (si pensi agli immensi giacimenti di risorse e lavoro legate al recupero e redistribuzione di prodotti che hanno concluso il loro primo ciclo commerciale ma non esauriscono i contenuti di utilità: dal cibo ai vestiti, dai cellulari ai computer, dai mobili ai giocattoli e via dicendo).
In un’ottica di rifiuti zero[2] per completare la valutazione della sostenibilità dei beni servizi vanno definiti una serie di indicatori che vengono:
a) prima della formazione dei rifiuto – sulla sua prevenzione e riduzione (quantitativa e qualitativa);
b) dopo che si è formato- per minimizzarne gli impatti, ottimizzando il recupero e limitando lo smaltimento.
Si può partire dal kg/ab/a di rifiuto prevenuto e avviato al riciclaggio e dall’incidenza delle RD sul totale, ma bisogna andare oltre.
Ed è proprio questa la nuova sfida che sono chiamati ad affrontare, per monitorare l’efficienza delle politiche, Il Programmi Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti (da adottare entro il 13.12.2013) e i numerosi programma che cominciano a vedere la luce sul piano locale.
[1] Una rassegna di tecniche e indicatori a disposizione si torva in Eduzioni Ambiente – vedi, ad esempio, i saggi di Baldo, Marino e Rossi sulla LCA, la riedizione di Capitalismo naturale di Hawken e dei Lovins, i lavori sull’impronta ecologica di Wackernagel e Rees e quello più recente di Pernigotti sulla Carbon Footprint.