I danni che la pandemia rischia di portare al sistema di gestione dei rifiuti e la necessità di non abbandonare la strada verso l’uso sostenibile della materia e la gestione circolare dei rifiuti.
Sommario
I rifiuti direttamente legati alla gestione della pandemia (da DPI)
Rifiuti nelle abitazioni di positivi al virus
Mascherine e guanti nell’indifferenziato
DPI prodotti dalla attività economiche
Avvio allo smaltimento e rischi di dispersione nell’ambiente
E’ possibile un po’ di prevenzione dei rifiuti nella gestione dei DPI
Impatti delle crisi sulla gestione dei rifiuti
Con la crisi cambia la produzione dei rifiuti
La messa in crisi del riciclo.
Chi paga le riduzioni tariffarie per la “chiusura” di molte attività.
Premessa
Lo sapevamo. Sapevamo che una crisi poteva venire.
Fin da quando avevamo imparato a leggere il mondo guardando alla sua complessità e in modo sistemico.
Eravamo incerti su quale punto della catena del nostro macro ecosistema terra potesse aprirsi una falla.
Sapevamo però che sarebbe stato difficile mettere un tappo, alzare una diga.
Il punto di rottura non ha preso le forma di inondazioni, terremoti, siccità. Di guerre, commerciali o sul campo. Di bibliche migrazioni.
A questi eventi eravamo, per così dire, preparati. Sapevamo come in qualche modo conterminarli, con una maggiore e minore difficoltà.
Invece, l’attacco è partito da una zoonosi.
Un virus che salta di specie, passa dal pipistrello all’uomo. Che lo fa viaggiare in business class per una rapido scambio di continenti. Un virus che è in grado di cogliere la specie ospitante (la nostra) totalmente alla sprovvista.
La cui diffusione è stata maggiore nella aree più inquinate, dove attacca polmoni già debilitati dallo smog.
Per alcuni mesi abbiamo dovuti stare fermi.
Tutto bloccato, chiuso.
Chiusi la maggior parte dei settori produttivi e commerciali, con l’eccezione di quelli necessari alla cura a alle funzioni base delle vita. E le scuole.
Con l’eccezione di chi ha potuto organizzare forme di lavoro e studio a distanza – gestite da casa, davanti a computer o smartphone.
Uscite di casa contingentate. Solo con guanti e mascherine, solo vicino casa o per aiutare persone in difficoltà e/o per raggiungere i negozi aperti – farmacie, giornalai e negozi di alimentari.
Poi qualcosa a cominciato a muoversi, con alcune riaperture e la mobilità allargata a tutto il nostro Comune.
Dal 4 maggio anche alla nostra Regione.
Ora, dopo il 18 maggio e poi da giugno, ci aspetta(se i dati sull’andamento del contagio lo consentiranno) una fase di progressive maggiori aperture, sul lavoro e nelle relazioni (bar, ristoranti, negozi, cura della persona, vacanze, …).
Anche se resteranno chiuse scuole e luoghi di spettacolo e cultura.
E anche chi riaprirà lo farà con forme che dovranno rispettare il distanziamento fisico tra le persone e l’uso di Dispositivi di protezione individuale (DPI).
E tutto questo durerà a lungo.
Con “ricadute” possibili fin da subito e comunque fortemente previste per l’autunno, con tutte le limitazioni che si porterebbero dietro …
Pare che con questo (e con i prossimi …) virus dovremo imparare a convivere, cercando di attenuare le difficoltà che stiamo sperimentando, fino a quando avremo a disposizione un vaccino e/o cure efficaci e sicure.
La crisi da Corona virus ha influenzato tutti i settori.
Ha e rischia di avere due tipi di influenze negative, una diretta e una indiretta, sulla gestione dei rifiuti.
Ci sono i problemi diretti, di gestione dei rifiuti prodotti:
- da una parte a seguito della gestione dei rifiuti da Dispositivi di Protezione Individuale (DPI): mascherine, guanti monouso (che usiamo tutt*), camici, cuffie, visiere, tute e calzari (utilizzati da medici e infermieri);
- dall’altra con le modifiche nella produzione quali quantitativa dei rifiuti prodotti a causa degli stop, con le conseguenti contrazioni di produzione e consumi e per la crisi degli impianti di riciclaggio e recupero dei rifiuti riciclabili.
E va considerato il potenziale effetto di arretramento culturale generale sull’impostazione e direzione del sistema di gestione.
Si pensi al fatto che non mancherà chi tenterà di rilanciare l’incenerimento (ormai quasi del tutto superato dalla scienza a dalla storia) come modo per trattare rifiuti urbani “sanitarizzati”.
O al possibile depotenziamento della lotta alla plastica monouso e in generale all’”usa e getta”.
I rifiuti direttamente legati alla gestione della pandemia (da DPI)
L’Istituto superiore di sanità (Iss) stima in 440.000 tonnellate i rifiuti da DPI che verranno prodotti in Italia entro fine anno.
Il calcolo si basa su una ipotesi di consumo giornaliero di 35-40 milioni di mascherine con un peso medio di 11 grammi e di 70-80 milioni di guanti – per una produzione media compresa tra 400 e 1.100 tonnellate al giorno (in sé non quantità talo da creare problemi al sistema di raccolta e trattamento).
I dati sono sostanzialmente confermati dal rapporto Ispra “I RIFIUTI COSTITUITI DA DPI USATI” uscito il 25 maggio 2020[1].
Sono usciti alcuni provvedimenti[2] che hanno caratterizzato i rifiuti prodotti dalle utenze.
L’Iss con il documento del 3 marzo 2020 (aggiornato il 14 e il 31
marzo) distingue tra
•rifiuti urbani prodotti nelle abitazioni di soggetti positivi al tampone posti
in isolamento o in quarantena obbligatoria
•rifiuti urbani prodotti dalla popolazione in generale, in abitazioni di
soggetti non positivi al tampone non in isolamento o quarantena obbligatoria.
Rifiuti nelle abitazioni di positivi al virus
Per il
primo caso, tra le principali raccomandazioni, l’Iss ha indicato come punto di
riferimento il Dpr 254/2003 sui rifiuti sanitari considerandoli, ovviamente a
rischio infettivo (HP9), da raccogliere con l’uso di imballaggi a perdere,
anche flessibili, e l’indicazione “Rifiuti sanitari sterilizzati” e la data. Se – come è evidente per la maggior parte
dei casi- non è possibile sterilizzare i rifiuti in un’abitazione, i rifiuti
non vanno più differenziati, bisogna usare guanti monouso per confezionarli in
due o più sacchetti resistenti posti uno dentro l’altro e conferiti al servizio
(con particolare attenzione ai taglienti).
Mascherine e guanti nell’indifferenziato
In caso di
rifiuti urbani della popolazione in generale, l’Iss raccomanda di non
interrompere la raccolta differenziata ma, a scopo cautelativo «fazzoletti o
carta in rotoli, mascherine e guanti eventualmente utilizzati, dovranno essere
smaltiti nei rifiuti indifferenziati».
DPI prodotti dalla attività economiche
I DPI prodotti dalle attività economiche vanno intesi come rifiuti speciali.
Fermo restando che va evitata ogni manipolazione e quindi l’avvio a raccolta differenziata, si ritiene che se il Comune ha assimilato la plastica e la carta agli urbani, guanti, mascherine e tute possono essere rifiuti assimilati e conferiti tra gli urbani indifferenziati usando le regole già indicate dall’Iss (sacchetto doppio ecc.) e Cer 200301.
In assenza di assimilazione, si ritiene sia possibile cautelativamente
il Cer 150203, la variante pericolosa di un codice a specchio che non potrà
essere “caratterizzato”, poiché non manipolabile.
Diversamente, poiché il Dpr 254/2003 sui rifiuti sanitari, individua la
presenza di rifiuti sanitari a rischio infettivo anche in strutture diverse da
quelle sanitarie (articolo 2, comma 1, lettera i) si ritiene possibile
assegnare il Cer pericoloso 180103 e seguire tutta la difficile e costosa
filiera del rifiuto sanitario (doppio contenitore, Adr e inceneritore).
Avvio allo smaltimento e rischi di dispersione nell’ambiente
In ordine al destino, l’Iss raccomanda di non manipolare nulla e di destinare tutto a inceneritori o, in alternativa: a) impianti di trattamento meccanico o meccanico biologico, ma evitando sempre la selezione manuale b) impianti di sterilizzazione c) discarica senza pretrattamento, confinandoli e movimentandoli il meno possibile.
Il documento Snpa si pone fondamentalmente sulla stessa scia e suggerisce per l’urbano indifferenziato, ovviamente, il Cer 200301 .
In fondo è una produzione di rilevo relativo, in termini quantitativi: stiamo entro l’1,5% di produzione totale nazionale di rifiuti urbani – RU (se dividiamo la stima di 440.000 ton per i 30.200.000 ton di produzione totale per l’ultimo dato disponibile – relativo al 2018). Ma la percentuale risulterà probabilmente ancora inferiore, se l’aumento causato della presenza di rifiuti da DPI non compenserà il calo dovuto al rallentamento dei rifiuti prodotti dalle utenze. In particolare dei rifiuti di quelle attività economiche che sono state a lungo chiuse o le cui attività sono state sostanzialmente ridotte a causa delle crisi.
Il vero problema però sta nella qualità di questo rifiuto, non tanto dal punto di vista merceologico, quanto da quello degli effetti sull’ambiente.
Se anche solo l’1% delle mascherine venisse smaltito non correttamente e magari disperso in natura questo si tradurrebbe in ben 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente, vale a dire (anche considerando un peso di ogni mascherina di circa 4 grammi) avremmo l’immissione di oltre 40 tonnellate di plastica in natura.
Ecco perchè il WWF fa appello ai cittadini perché siano altrettanto responsabili di come lo sono stati durante la fase del confinamento domestico nelle smaltire correttamente e non disperdere in natura i DPI.
Proprio per evitare che finiscano in mare si chiede alle istituzioni di predisporre opportuni raccoglitori per mascherine e guanti nei pressi dei porti dove i lavoratori saranno costretti ad usare queste protezioni per operare in sicurezza e anche nei parchi, nelle ville e nei pressi dei supermercati.
E’ possibile un po’ di prevenzione dei rifiuti nella gestione dei DPI
Mi sono chiesto se e quanto sia possibile ipotizzare azioni di prevenzione in grado di limitare i danni e il numero di rifiuti di DPI.
C’è da vincere una “resistenza” di tipo culturale.
Siamo stati (tutti, ma in particolare: medici, infermieri e volontari a contatto coi malati) e in parte siamo dentro ad un periodo dove la preoccupazioni dell’uso dei DPI sono prevalentemente legate alla loro efficacia.
Dove, dopo l’uso, si sente una necessità di “mondarsi” (come direbbe Italo Calvino), di allontanare da noi lo “sporco” (fisico e in qualche modo morale) dell’oggetto contaminato e legato al rapporto con il contagio e la malattia.
Eppure per la maggioranza delle persone, che utilizzano i DPI per profilassi preventiva e non sono quotidianamente a contatto con malati e malattia, non è difficile utilizzare mascherine lavabili[3] e sanificare i guanti, usandoli più volte …
Vi passo la mia soluzione – economica e facile da realizzare – per auto limitare la produzione di rifiuti da DPI.
Per le mascherine mi rifornisco dal mio tabaccaio e giornalaio. Ne ho acquistate due di cotone, che lavo regolarmente – tanto che forse me ne sarebbe bastata una. Costano 5 €, 10 volte tanto le mascherine a perdere da 0,5 €, ma non vanno allo smaltimento, se non dopo un numero di usi che non so immaginarmi, ma è comunque di gran lunga superiore a 10. Inoltre a fine vita le potrò lavare e portare alla raccolta differenziata del tessile, per il recupero del cotone.
A dimostrazione che cercando si trova, segnalo che -sempre dal mio tabaccaio – sono arrivate mascherine “estive”, riutilizzabili e molto più leggere. Portabili per molte ore. Prodotte nelle mia Regione e certificate dall’università di Padova. Anche in questo caso la quantità di riutilizzi (sono lavabili fino a 20 volte in lavatrice a 90°) le rende anche economicamente -oltre che ambientalmente- convenienti rispetto alle monouso.
Per i guanti di lattice ho visto che è possibile sanificarli, per prolungarne l’uso, almeno per un po’ di volte: quando torno a casa vi verso un po’ di liquido igienizzate e mi strofino le mani.
Sono piccoli accorgimenti, ma con i quali ognuno di noi può senza sforzo (e con minor spesa) ridurre di molto consumo e impatto dei suoi DPI.
Altro discorso va fatto per i DPI utilizzati dagli operatori sanitari a contatto con i malati.
In questo caso è possibile chiedersi se il processo di sterilizzazione non possa da una parte ridurne l’avvio a smaltimento attraverso incenerimento e dall’altra renderli almeno in parte riutilizzabili.
Impatti delle crisi sulla gestione dei rifiuti
L’impatto dei rifiuti da DPI sulla produzione di rifiuto urbano residuo (RUR) è, come abbiamo visto, relativamente rilevante dal punto di vista quantitativo.
Non è certo tale da giustificare “spinte verso gli inceneritori”. Non solo perché esistono alternative praticabili e che potrebbero portare ad una almeno parziale riutilizzo dei dispositivi (sterilizzazione), ma anche perché l’attuale offerta di smaltimenti per i rifiuti “potenzialmente infetti” è oggi in Italia più che sufficiente.
Ma il pericolo sta nelle loro dispersione nell’ambiente.
La stima del Politecnico di Torino che prevede che per la Fase 2, in cui verranno progressivamente riavviate attività produttive e sociali, serviranno 1 miliardo di mascherine e mezzo miliardo di guanti al mese, giustifica appieno l’appello lanciato dal WWF per non disperdere guanti e mascherine nell’ambiente[4].
Con la crisi cambia la produzione dei rifiuti
Si tratterebbe intanto di capire se e di quanto la crisi abbia modificato la produzione di rifiuto, da imballaggio e non.
I segnali sono ancora contraddittori e non ho in questo momento a disposizione dati quantitativi oltre che qualitativi a livello complessivo interpretabili.
Sarà necessario capire se la chiusura di negozi (a parte gli alimentari) e ristoranti e il ricorso alla spesa digitale ci ha indotto a consumi maggiori (cibo, imballaggi, …) o minori (beni in genere e in particolare non essenziali), se la chiusura di luoghi di lavoro, scuole e università ha portato con sé cali più o meno rilevanti della produzione di rifiuti.
Certamente meno rifiuti si sono prodotti nei territori turistici.
Ad esempio i primi dati resi noti su Venezia parlano di una riduzione del 60% della produzione di rifiuti e di un forte calo dei consumi idrici nelle ultime settimane. E’ come se Venezia fosse una piccola città di 50.000 residenti e non la città di 100.000 abitanti equivalenti che è considerando le presenze alberghiere ed extralberghiere, gli occupanti degli alloggi turistici e gli studenti universitari fuori sede, oltre ai proprietari di seconde case.
La messa in crisi del riciclo
Ma forse l’impatto più grave che la crisi ha avuto va cercato nell’aver messo in crisi il riciclo, che è come noto una delle eccellenze del nostro paese[5].
Non a caso CONAI[6] e Associazioni europee ed italiane dell’industria del riciclo (EuRIC e UNIRIMA) hanno scritto ufficialmente ad Istituzioni europee, Governo nazionale e Protezione civile, lanciando l’allarme denunciando le difficoltà degli impianti di riciclo[7].
Già a fine marzo si rilevava che l’emergenza sanitaria e il conseguente rallentamento di alcune attività industriali, il blocco totale di molte altre, stavano inceppando la filiera della raccolta differenziata e portando a saturazione degli stoccaggi sia di impianti di riciclo (portando al collasso una trentina di piattaforme di separazione delle plastiche) sia dei termovalorizzatori (60 in Italia, concentrati per lo più al Nord).
Con una situazione più fragile al Sud, poiché quest’area del Paese è dotata di un minor numero di impianti.
Seguiva una esposizione delle difficoltà di raccolta differenziata e riciclo nelle diverse filiere.
Box Conai segnala le difficoltà del riciclo (il 28 marzo 2020)
Per la plastica, le maggiori criticità si registrano nella gestione degli scarti non riciclabili, ossia il plasmix. Dall’inizio dell’emergenza Covid-19, infatti, si sta azzerando la possibilità di utilizzo finale del plasmix (60%) nei cementifici, che lo usano come collante, a causa della chiusura di questi ultimi. Quanto alla plastica riciclata – pari al 45,5% del materiale immesso al consumo nazionale – viene di solito esportata, con quote significative. Ma tali esportazioni sono sospese. Poi c’è la plastica che viene riciclata dall’industria italiana, in prima fila quella del giocattolo e dell’arredo urbano, ma queste aziende oggi sono chiuse perché non considerate strategiche.
I rifiuti di imballaggi in acciaio, vengono di solito raccolti in piattaforme (rottamài) e riciclati nelle acciaierie: ne sono chiuse – dice il Conai – quattro su cinque. Lavora solo una acciaieria in Sicilia che riesce così a garantire uno sbocco per il materiale che arriva da Puglia, Calabria e Sicilia stessa. Il punto critico per l’acciaio sono i rottamài, ultimo passaggio prima dell’acciaieria: questi non hanno autonomia e presto dovranno interrompere i ritiri.
Processo inceppato anche per gli imballaggi in alluminio: delle 3 fonderie di cui si avvale Cial (il consorzio aderente a Conai per l’alluminio), una è chiusa. Un’altra, quella di Bergamo, lavora a ritmo ridotto.
Le cartiere hanno problemi di tipo logistico, in particolare nella fascia adriatica, per la mancanza dei ritornisti, trasportatori senza carico al ritorno che quindi non sono disponibili o lo sono a costi elevati.
Per quanto riguarda il legno, «tutti i pannellifici hanno chiuso», segnala il Conai – in pochi giorni anche le piattaforme del legno si satureranno.
Solo per il vetro non ci sono problemi: le vetrerie lavorano e richiedono molto materiale.
Alle difficoltà registrate nelle aziende che ritirano e riutilizzano il materiale recuperato, poi, si aggiungono quelle di carattere sanitario per chi lavora negli impianti di gestione dei rifiuti, il cui impegno è essenziale alla collettività.
Il Conai ha richiesto diversi interventi.
Il primo riguarda le fasi di stoccaggio dopo la raccolta: viene richiesto l’aumento delle la capacità annua e istantanea di stoccaggio di tutti gli impianti già autorizzati alle operazioni di gestione dei rifiuti, fino a raddoppiarla.
Ciò consentirebbe di mantenere una “miniera” di materie seconde (anche nei momenti di chiusura degli impianti di lavorazione) in attesa che divengano nuovamente (ri) utilizzabili con il riciclo.
Gli altri riguardano lo smaltimento di materiali non riciclabili o pericolosi.
Si chiede … l’aumento della capacità termica consentita dalla legge di tutti i termocombustori esistenti, fino a saturazione e la semplificazione delle procedure burocratiche necessarie per l’accesso alle discariche.
E non si manca di porre l’esigenza di autorizzare spazi e capacità aggiuntive per il trattamento e lo smaltimento delle frazioni non riciclabili, che in questa fase non trovano sbocco nella termovalorizzazione.
Fortunatamente la situazione è migliorata quando, a seguito delle indicazioni contenute nella circolare del Ministero dell’Ambiente che dava indicazioni sulla gestione dei rifiuti nell’emergenza COVIC-19[8], le Regioni hanno potuto concedere una deroga ai limiti stoccaggio intermedio (da parte dei recuperatori), creando le possibilità per una ripartenza.
Ora siamo nel periodo della ripresa e si giocheranno le possibilità di ripresa del comparto.
Si tratterà di vedere quanto con la progressive riaperture il rapporto tra raccolte, stoccaggi e lavorazioni industriali che rende l’Italia uno dei paesi più virtuosi in Europa dal punto di vista del riciclaggio sarà in grado di riprendere; se più o meno a regime.
Certo un grosso problema è tutt’ora (e non si sa per quando) rappresentato dall’impossibilità di esportare i prodotti lavorati o semilavorati, dal momento che specie per alcune filiere il mercato estero svolge un ruolo molto importante.
Chi paga le riduzioni tariffarie per la “chiusura” di molte attività
Altro problema rilevante (che riguarda Comuni e gestori della tariffa, nonché le utenze del servizio di gestione RU), è come pagare quelle riduzioni “eccezionali” che sarà necessario concedere alle utenze, Specialmente a quelle non domestiche (UND) che sono state costrette a chiudere e quindi a non guadagnare nel periodo di chiusura imposto dal corona virus.
Utenze che – è bene ricordarlo – possono essere state messe dalla crisi a rischio chiusura …
Il problema si pone sia dal punto di vista della forma da dare alle riduzioni che della sostanza (in termini di reperimento delle risorse necessarie a coprirle).
Dal punto di vista formale, i Comuni che non abbiano ancora approvato il bilancio 2020 e i provvedimenti sulla tariffa rifiuti ad esso legati (delibera di approvazione delle tariffe 2020 – e possibilità di intervenire sul Regolamento di gestione delle tariffa) possono provvedere:
- inserendo “riduzioni per eventi ambientali e sanitari non prevedibili” nei Regolamenti (o nelle loro “norme transitorie”, anche se questa pandemia ci ha dimostrato che crisi ambientali di questa portata possono purtroppo anche ripetersi);
- normando con la delibera di definizione della tariffa una riduzione (transitoria) dal pagamento del servizio per quelle attività che non hanno prodotto rifiuti e non hanno usufruito del servizio di raccolta a avvio al trattamento. Questa riduzione va applicate in relazione al periodo in cui queste non hanno potuto svolgere il loro lavoro e quindi non hanno prodotto né rifiuti né reddito per pagare il servizio.
Quelli che avessero già approvato il bilancio e i documenti sulla gestione rifiuti 2020 (i più virtuosi, quelli che l’hanno fatto entro il 31.12.2019, o comunque prima dell’insorgere della crisi) potranno provvedere con una specifica delibera di Consiglio.
I costi del servizio fornito dal gestore delle raccolte e in generale della gestione rifiuti non subiranno riduzioni (o la subiranno in misura minima e non in grado di bilanciare le minori entrate dalle utenze).
Allora è necessario evitare che il pagamento di queste riduzioni ricada sulla altre utenze, che anche se hanno continuato ad usufruire del servizio non meritano di pagare extra costi che non dipendono da loro comportamenti nei confronti della gestione dei rifiuti. Oltre a tutto sono utenze che hanno con ogni probabilità subito danni anche economici a causa della crisi …
La soluzione è che esse siano pagati con i fondi che i Comuni riceveranno dalla Stato per far fronte all’emergenza sanitaria.
Il riferimento normativo non può che essere il comma 660 dell’art. 1 della legge 147/2013.
Sono gli interventi con i quali il Consiglio Comunale può prevedere, nell’ambito degli interventi socio-assistenziali, ai soggetti che versino in condizione di grave disagio sociale ed economico l’esonero totale o parziale dal pagamento della Tariffa.
Sono infatti queste le uniche, tra le diverse forme di agevolazione e riduzione prevista da altri comma dello stesso articolo, che vengono poste a carico del bilancio comunale e non della tariffa stessa.
In questo modo si evita che agevolazioni e riduzioni per alcune utenze siano a carico delle altre.
Queste provvidenze a favore delle utenze che hanno pagato lo scotto della crisi sanitaria vanno rese possibili con una esplicita indicazione di poter dedicare alla gestione rifiuti una quota dei trasferimenti che lo Sato stanzierà a favore dei Comuni con il provvedimento che aveva preso il nome di “decreto aprile” e ora divenuto “decreto rilancio”[9].).
I Comuni potranno muoversi tenendo anche presenti le indicazioni fornite dall’organismo regolatore Arera con la DELIBERAZIONE 5 MAGGIO 2020 158/2020/R/RIF[10].
La delibera dispone come definire le riduzioni sulla quota variabile della tariffa (TV) per la categorie di utenza non domestica (UND) colpite direttamente da provvedimenti di chiusura delle loro attività e anche per quelle che le hanno dovute chiudere e ridurre a causa delle crisi, anche se non obbligate.
In relazione ai periodo di chiusura si avrà una riduzione per quanto riguarda la quota variabile (TV):
– nel caso di applicazione parametrica si lavorerà sulla riduzione degli indici Kd;
– nel caso di applicazione puntuale di porrà TV = 0 (limitatamente e questi periodi).
Sono previste anche agevolazioni per le utenze domestiche economicamente svantaggiate.
A carico
dei gestori della tariffa sta l’informazione delle utenze domestiche e non
domestiche. (attraverso la pubblicazione sul sito internet) sulle misure riduzioni
tariffarie adottate a loro favore, con particolare riferimento ai
criteri e alle modalità previste per il loro riconoscimento.
[1] file:///C:/Users/Mario%20Santi/OneDrive/gruppi%2520di%2520lavoro/Documenti/finestra%20sulla%20prevenzione%20dei%20rifiuti/2020/20.04.08%20corona%20virus%20e%20noi/37471_rapporto_ispra_dpi_usati.pdf
[2] L’Istituto Superiore di Sanità (Iss) fin dal 3 marzo 2020 e il Sistema nazionale di protezione ambientale (Snpa) il 23 marzo 2020 hanno prodotto importanti documenti che hanno orientato la canalizzazione dei rifiuti urbani. La Commissione Ue è intervenuta solo il 14 aprile 2020 e con la fornitura di alcune linee guida per la gestione dei rifiuti urbani che vanno in direzione analoga.
[3] Personalmente io mi rifornisco dal mio tabaccaio e giornalaio – dove ne ho acquistate due di cotone, che lavo regolarmente – ho visto me ne sarebbe bastata una.
Costano 5 €, 10 volte tanto le mascherine a perdere da 0,5 €, ma non vanno allo smaltimento, se dopo un numero di usi che non so immaginarmi, ma è comunque di gran lunga superiore a 10.
[4] https://www.104news.it/2020/04/30/coronavirus-da-wwf-un-appello-alla-responsabilita-per-lo-smaltimento-di-mascherine-e-rifiuti/
[5] https://www.huffingtonpost.it/entry/riciclo-rifiuti-a-rischio-blocco-a-causa-del-virus-servono-nuove-politiche-industriali_it_5e849a44c5b6a1bb7650f073
[7] https://www.ilsole24ore.com/art/rifiuti-e-allarme-il-blocco-riciclo-AD15pSG
[8] V. MATT Circolare ministeriale recante “Criticità nella gestione dei rifiuti per effetto dell’Emergenza COVID 19 – indicazioni.” file:///C:/Users/Mario%20Santi/AppData/Local/Microsoft/Windows/INetCache/Content.Outlook/1W62YN3X/Circolare%20COVID%2019_mistero%20ambiente_27_marzo.pdf.pdf.pdf
[9] DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34. Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. In G.U 19.05.2020.
[10] Adozione di misure urgenti a tutela delle utenze del servizio di gestione integrata dei rifiuti, anche differenziati, urbani ed assimilati, alla luce dell’emergenza da COVID-19 https://www.arera.it/allegati/docs/20/158-20.pdf