Dagli “indirizzi” europei alla norme francesi, ai primi provvedimenti nel nostro paese. Ma se vogliamo ribaltare la società del consumo dobbiamo riprendere il tema della durabilità e della riparabilità dei prodotti.
Personalmente sono molto guardingo dall’assumere info da Wilkipedia, perchè quando tutti parlano di tutto le verifiche di attendibilità sono molto aleatorie. Il problema della verifica e certificazione di quanto scritto è affidato solo alla quantità e alla qualità del controllo incrociato dei tanti che ne implementano e modificano le voci.
In questo caso però parto dalla definizione che di “obsolescenza programmata” ci offre l’”enciclopedia libera”1. .
L’obsolescenza programmata o pianificata in economia industriale è una strategia volta a definire il ciclo vitale di un prodotto in modo da limitarne la durata a un periodo prefissato. Il prodotto diventa così inservibile dopo un certo tempo, oppure diventa semplicemente obsoleto agli occhi del consumatore in confronto a nuovi modelli che appaiono più moderni, sebbene siano poco o per nulla migliori dal punto di vista funzionale. Quando l’unico accorgimento adottato per rendere obsoleto un prodotto prima del tempo è la pubblicità si può parlare di obsolescenza percepita o simbolica.
Lo faccio non solo perchè penso che un tema come questo abbia un numero tale di contributori nel “mondo della rete” da rafforzare il ruolo dei controlli incrociati, ma anche perchè mi appare condivisibile il fatto di considerarla una strategia di politica industriale.
Forse non una ma “la” strategia per eccellenza della moderna economia basata sulla crescita dei consumi non per soddisfare bisogni ma per alimentare il ciclo economico in sé.
Se avete poco meno di un’ora a disposizione consiglio la visione di un filmato reperibile in Youtube dal titolo OBSOLESCENZA PROGRAMMATA – Il motore segreto della nostra società di consumo2.
Ma veniamo all’attualità, perchè stiamo assistendo ad una evoluzione di norme e regolamenti che fanno sperare in un’inversione di tendenza verso una concezione non più lineare ma “circolare” dell’economia. 3, per la quale il superamento dell’obsolescenza programmata è presupposto basilare.
Nel luglio 2017, il Parlamento Europeo ha votato – con 662 voti favorevoli, 32 contrari e 2 astenuti – una risoluzione che pone le basi per la lotta all’obsolescenza programmata attraverso una serie di punti ben definiti4.
Ovviamente il provvedimento non ha valore legislativo (non è cioè una legge valida in tutti i Paesi dell’Unione), ma pone delle linee guida per i Paesi Membri attraverso le quali realizzare incentivi che possano promuovere i prodotti ritenuti durevoli, il mercato dell’usato e delle riparazioni.
Il provvedimento mira anche a smuovere la UE affinché arrivi a rilasciare una definizione unica di Obsolescenza Programmata, stabilendo anche dei canoni con cui poterla verificare al fine di contrastarne l’adozione da parte dei produttori.
E’ stata anche proposta l’istituzione di un “criterio di resistenza minima” valido per ogni categoria di prodotto, assieme ad un sistema di estensione della garanzia qualora le riparazioni avessero durata superiore ad un mese.
Tra le altre proposte del Parlamento alla Commissione troviamo anche un “contatore dell’uso” e migliorare il processo di riparazione. l’istituzione di una “etichetta europea volontaria”, sulla quale indicare dati come la durabilità, il grado di ecocompatibilità del processo di progettazione e la modularità dei componenti.
La lotta all’obsolescenza programmata ha effetti importanti sull’ambiente, dal momento che permetterebbe di ridurre notevolmente il volume di rifiuti elettronici, spesso composti da materiali altamente inquinanti.
Oggi, riparare un dispositivo elettronico non è sempre conveniente; a volte i costi di riparazione superano addirittura l’acquisto di un dispositivo nuovo.
Il consumismo e la produzione di massa promossa dalle aziende spingono gli utenti e i riparatori di mestiere ad assumere una condizione di svantaggio.
Ad essere sul tavolo delle trattative sono proprio i dispositivi elettronici: risulta infatti sempre più difficile effettuare riparazioni su di essi, costringendo così gli utenti alla sostituzione totale del dispositivo.
Ecco alcuni dettagli della proposta del Parlamento europeo, divisa per 7 punti.
- Prodotti robusti, facilmente riparabili e di buona qualità:”criterio di resistenza minima” da stabilire a seconda della categoria di appartenenza.
- Se una riparazione richiede più di un mese, la garanzia dovrebbe essere estesa per la durata esatta della riparazione.
- Gli Stati Membri dovrebbero incentivare prodotti riparabili e duraturi, potenziando il settore delle riparazioni e delle vendite dell’usato – questa prassi potrebbe creare nuovi posti di lavoro e ridurre considerevolmente i rifiuti elettronici.
- I consumatori dovrebbero avere l’opzione di potersi affidare ad un riparatore indipendente: soluzioni software, tecniche o di sicurezza che prevengono la riparazione dall’esecuzione ad opera di soggetti terzi non approvati da entità o aziende dovrebbero essere scoraggiate.
- Componenti essenziali, come le batterie e i LED, non dovrebbero essere integrati totalmente all’interno dei prodotti, a meno che non sia per ragioni di sicurezza.
- Pezzi di ricambio che sono indispensabili per l’uso corretto e in sicurezza dei prodotti dovrebbero essere resi disponibili “ad un prezzo commisurato alla natura e al ciclo di vita dei prodotti”.
- Definire “obsolescenza programmata” secondo l’Unione Europea e adottare un sistema che possa testare e riconoscere quando essa è insita in un prodotto già in fase di design.
L’approvazione della risoluzione fa ritenere che il Parlamento europeo voglia proporre una vera e propria lotta all’obsolescenza programmata.
Ma, come nel caso di altre risoluzioni, l’interrogativo poteva essere se e quanto avrebbero dato vita a provvedimenti regolamentari e normativi in grado di incidere concretamente sulla realtà.
In Scandinavia, ad esempio è stata presentata la proposta di tagliare l’aliquota Iva dal 25 al 12% sulle piccole riparazioni.
E i primi buoni segnali arrivano dalla Francia, che ha istituito per legge il “reato di obsolescenza programmata” , inserendolo nell’ambiziosa legge sulla lotta ai cambiamenti climatici che nell’agosto 2015 anticipò la conferenza svoltasi nella capitale francese tra il 30 novembre e il 12 dicembre e conclusasi con la firma dell’accordo 5.
All’art. 99 l’obsolescenza programmata viene definita (”tutte le tecniche con cui colui che lo immette sul mercato mira a ridurre deliberatamente la vita di un prodotto per aumentarne il tasso di sostituzione”) e resa “punibile” (con due anni di reclusione e un’ammenda fino a 300.000 euro, il cui importo può essere aumentato al 5% del fatturato medio annuo in modo proporzionale ai benefici ricavati con questa pratica)6.
È nata una associazione che si è data il nome di Hop (Halte à l’Obsolescence Programmée) ed è attiva con esposti per far rispettare questa legge.
A partire da uno di questi, la magistratura transalpina ha aperto un’inchiesta per capire se Apple abbia intenzionalmente rallentato il suo vecchio iPhone per accelerare la vendita dei suoi nuovi telefoni7; ora la casa si di Cupertino rischia quanto sopra richiamato.
La buona notizia è che anche in Italia qualcosa si muove8.
Prendendo spunto proprio da questa vicenda l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha avviato un’indagine contro due colossi della telefonia, la stessa Apple ma anche Samsung, per pratiche commerciali scorrette.
Ispezioni e perquisizioni dei Nuclei speciali dell’Antitrust della Guardia di finanza e del Nucleo speciale frodi tecnologiche sono state autorizzate nelle sedi italiane di entrambe le multinazionali.
I due giganti delle telecomunicazioni, sono accusati di aver immesso sul mercato dei prodotti “programmati” per smettere di funzionare dopo un preciso periodo di tempo. In questo modo i consumatori sono costretti ad acquistare il modello successivo, che più che essere innovativo, si qualifica per non presentare i ‘difetti’ del precedente; ma a sua volta ne possiede altri, che verranno fuori a suo tempo, dando vita ad una continua “spinta all’acquisto”.
L’Agcm ha puntato il dito in particolare contro gli aggiornamenti software degli smartphone, oggetto di segnalazione da innumerevoli consumatori. Con l’aggiornamento automatico, infatti, i telefonini inspiegabilmente rallentano. Il rallentamento potrebbe essere dunque indotto violando gli articoli 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo, questa l’accusa.
Samsung, che a differenza di Apple è oggetto di indagine solo in Italia, ha risposto con un comunicato rivendicando di essere nel giusto: “Noi non forniamo aggiornamenti software per penalizzare le prestazioni dei dispositivi e collaboreremo con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato italiana per chiarire i fatti”.
Staremo a vedere, gli sviluppi si annunciano interessanti.
Quel che è serto è che un sistema di è scoperchiato, e da questo vaso di Pandora potrebbero uscire molti casi di questo genere.
L’occasione è interessante per una grande riforma del sistema di produzione in senso maggiormente conservativo delle risorse (energetiche e materiche).
Va colta da parte dei consumatori, ma può essere anche l’occasione da parte del mondo della produzione per una riconversione “circolare” dell’economia.
Chi produce in modo sostenibile ha tutto l’interesse a vendere “utilità” e non “apparenza”.
E dovrebbe vedere con favore l’introduzione volontaria di uno strumento di qualificazione come la possibilità di aderire all’etichetta europea volontaria9 in fase di definizione da parte del Parlamento europeo.
Perchè se per ogni prodotto venissero indicate la durabilità, la progettazione ecocompatibile, le possibilità di modulazione dei componenti per accompagnare il progresso del prodotto e la riparabilità e un ”contatore dell’uso” per i prodotti di consumo più pertinenti (in particolare i grandi elettrodomestici):
- Da una parte, il consumatore potrebbe sapere come orientarsi sul mercato senza dover ricorrere a class action ex post.
- Dall’altra, il produttore potrebbe qualificarsi sulla base delle qualità e della durabilità del prodotto offerto.
Per mantenere la vita dobbiamo essere capaci di riprodurre e rinnovare il nostro capitale naturale (risorse materiche ed energetiche) e di salvaguardare la biodiversità.
E’ il cambio di paradigma del passaggio all’economia circolare.
La lotta all’obsolescenza programmata ne è una delle condizioni.
Diminuzione del prelievo e dell’impiego di risorse (materiche ed energetiche), durabilità, riparabilità, riusabilità e riciclabilità devono essere le caratteristiche che qualificano i prodotti.
Su queste basi va sollecitata la concorrenza tra i produttori, anche inglobando nei prezzi di vendita:
- il costo della esternalità ambientali – costi energetici diretti ed indotti, inquinamento, rifiuti;
- una equa remunerazione del lavoro.
Si ricorda come l’idea di “obsolescenza programmata” ha in America il suo sviluppo.
Bernard London propose di renderla “obbligatoria” per rilanciare produzione e lavoro dopo la crisi del 1929.
Allora nessuno lo seguì, ma quando negli anni ’50 del secolo scorso venne rilanciata come forma di “seduzione” del consumatore, si ebbe la svolta, con il passaggio dall’approccio europeo del prodotto migliore e che duri a lungo a quello americano che vuol creare nel consumatore insoddisfazione per il prodotto per spingerlo a comprarne uno nuovo, con un’immagine più attuale e bella (Brooks Stevens).
Si crearono così le basi per la società dei consumi. Per questo si può dire che l’obsolescenza programmata si trovi alla base del modello di crescita industriale della società occidentale a partire dagli anni ‘50.
Con l’affacciarsi e la crescita della insostenibilità ambientale di questo modello in un mondo dalle risorse limitate si affacciano le critiche a questo modello.
Serge Latouche con la sua teoria della “decrescita felice”, stigmatizza un’economia basata su “pubblicità, obsolescenza programmata e credito”.
E cominciano ad arrivare le prime azioni sul piano legale, come quella dell’avv. Elizabeth Printzker che nel 2003 con una causa collettiva costrinse Apple a creare un servizio di ricambio e ad indennizzare gli utenti degli Ipod, la cui batteria era stata progettata a durata limitata e non sostituibile.
Si arriva così a toccare il problema dello scarico sul terzo mondo dell’impatto dei rifiuti provocati dall’obsolescenza programmata, per arrivare a parlare della nascita di un movimento che vi si oppone.
Un movimento che cerca di unificare in nome della sostenibilità ambientale e sociale Nord e Sud del mondo, unendo ricercatori, industriali e attivisti in per una ripianificazione dell’ingegneria della produzione che faccia a meno dell’obsolescenza programmata e punti a prodotti durevoli e riutilizzabili o riciclabili.
Se avete meno tempo (6 minuti, vedetevi https://www.youtube.com/watch?v=hNTruCQMZa8
Ma su catene chiuse, capaci di eco-produrre – cioè di:
- porre al prelievo il limite di non intaccare la riproducibilità della risorsa;
- porre agli usi il limite della non concorrenza con quelli che sostengono necessità primarie (v. es bio carburanti vs agricoltura per l’alimentazione; guerre sugli usi dell’acqua – bene comune ma scarso; energia verde autoprodotta a piccola scala per un’economia locale vs energia da fonti non rinnovabili sperperata in usi non ottimizzati; e, per restare sui rifiuti, migliore bilancio energetico del riciclaggio rispetto al recupero energetico; – e via dicendo);
- dare alla produzione la guida dell’ecodesign e l’obiettivo di diminuire e rendere rinnovabile l’impiego di risorse per unità di prodotto;
- concepire tendenzialmente i servizi in funzione delle risposte collettive e non individuali che possono dare ai bisogni (v. es. dalla lavatrice di condominio al car sharing e pooling);
- pensare al lavoro con l’obiettivo dell’inclusione sociale e del rispetto di un sistema di diritti: al posto di lavoro ma anche alla dignità del lavoratore, alla salute della popolazione e insieme alla salvaguardia dell’ambiente.
V. una riflessione di quattro anni fa http://www.labelab.it/dfgh987/leconomia-circolare-e-i-rifiuti-una-riflessione/ e anche http://www.labelab.it/dfgh987/dalleconomia-circolare-a-rifiuti-zero-un-rapporto-esalta-i-benefici-economici-e-ambientali-di-questo-percorso/
Antropocène s. m. – Termine divulgato dal premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen, per definire l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è fortemente condizionato a scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana. Non essendo un periodo accolto nella scala cronostratigrafica internazionale del tempo geologico (secondo i dettami dell’ICS, International commission of stratigraphy), l’A. si può far coincidere con l’intervallo di tempo che arriva al presente a partire dalla rivoluzione industriale del 18° sec., ossia da quando è iniziato l’ultimo consistente aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 in atmosfera. In questo periodo l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi si è progressivamente incrementato, veicolato anche da un aumento di 10 volte della popolazione mondiale, traducendosi in alterazioni sostanziali degli equilibri naturali (scomparsa delle foreste tropicali e riduzione della biodiversità, occupazione di circa il 50% delle terre emerse, sovrasfruttamento delle acque dolci e delle risorse ittiche, uso di azoto fertilizzante agricolo in quantità superiori a quello naturalmente fissato in tutti gli ecosistemi terrestri, immissione in atmosfera di ingenti quantità di gas serra ecc.).