A margine del rapporto rifiuti ISPRA che rileva un’inversione di tendenza nel 2016.
Cosa ci dice che stiamo (timidamente) uscendo dalla crisi (e ne stiamo uscendo “male”)?
La crescita del vituperato PIL? Quelle dell’agognato tasso di occupazione?
Non solo il primo, che (anche restando ai più bassi livelli in Europa) ha visto riapparire il segno “+”. Non solo la seconda che, se aumenta, lo fa di pari passo con la precarietà dei rapporti.
Ce lo dicono i rifiuti, e ce ne danno un segno ulteriormente negativo.
I rifiuti che anch’essi – ce lo dice il rapporto annuale ISPRA1 – nel 2016 hanno ricominciano a crescere, dopo anni di calo “legato alla crisi economica”.
È un segnale di una ripresa che, oltre ad essere contenuta, si rivela il rilancio della capacità di trasformare risorse in scarti.
Ed è una crescita che vede prevalere le tradizionali tendenza “lineari” sulla possibilità di rendere circolare il prelievo e l’uso delle risorse (economiche e materiche).
Questa rubrica ha sempre segnalato lo sviluppo di quelle buone pratiche in tema di prevenzione e riduzione dei rifiuti, che pongono buone basi per una loro generalizzazione.
Manca ancora però non solo la capacità di ottimizzare (diminuendolo) il prelievo di risorse e di ridurre la produzione di scarti in termini assoluti, ma anche di farlo in termini relativi, dissociando l’andamento dei rifiuti dagli andamenti economici – che è il punto fi partenza delle politiche della politiche comunitarie sui rifiuti e del Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti del 20142.
Il Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2017 fornisce i dati, aggiornati all’anno 2016, su produzione, raccolta differenziata, gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di imballaggio, compreso l’import / export, a livello nazionale, regionale e provinciale.
Riporta, inoltre, le informazioni sul monitoraggio dell’ISPRA sui costi dei servizi di igiene urbana sull’applicazione del sistema tariffario.
Infine, presenta una ricognizione dello stato di attuazione della pianificazione territoriale aggiornata all’anno 2017.
Non è questa la sede per un’analisi approfondita del rapporto e per andare a trovare e leggere al suo interno situazioni diverse e dal diverso significato, ma la lettura dei suoi dati generali suscita interrogativi preoccupanti per la prevenzione dei rifiuti
I RU prodotti nel 2016 sono stati 30,1 milioni di tonnellate, il 2% in più che nel 2015.
Un dato che non solo non si disaccoppia, ma che addirittura corre più veloce dell’andamento degli indicatori socio-economici, sia nella spesa per consumi finali (+1,5%) sia del Pil (tra +1,7% e +0,9%).
Tra i dati che emergono quelli sulla RD, che anche se in ritardo rispetto all’obiettivo di legge che assegnava loro per il 2012 una quota pari al 65% su totale dei RU.
Quota che molte Regioni del Nord hanno raggiunto ma che è ancora lontana per il grosso delle Regioni, specie centro meridionali.
Ciò nondimeno viene fatto notare che in 10 anni la RD è più che raddoppiata, passando a livello nazionale dal 25,8% del 2006 al 52,5% nel 2016 (+5% rispetto al 2015).
Alcuni commentatori, esaminando dati più disaggregati, rilevano un rapporto tra organizzazione del servizio e produzione dei rifiuti3.
Viene messo in evidenza che, laddove il servizio diventa spiccatamente domiciliare e viene introdotta la tariffa puntuale, si ha una diminuzione dei RU e in particolare dei RUR.
A questa presa d’atto erano arrivati da anni gli studi sui rifiuti, che dal 2014 attestano che l’abbinamento tra gestione domiciliare della raccolte con misurazione dei rifiuti a gestione a regime della tariffa puntuale porta al miglioramento del servizio, sia sul piano ambientale (aumento RD, diminuzione RU e soprattutto RUR) che economico (minor costi del sistema) 4.
Quello che inquieta è che i dati più recenti sembrano far pensare che – in assenza di correttivi – la “ripresa” economica porti con sé anche la ripresa della crescita dei rifiuti.
Lo dimostrano i dati nazionale, ma anche quello di situazioni virtuose.
L’ex assessore all’ambiente di Parma (situazione di eccellenza per ciò che riguarda lo sviluppo delle raccolte differenziate e l’applicazione della tariffa puntuale) Gabriele Folli, che ha da poco concluso il suo mandato, ricorda che “… Da inizio mandato abbiamo cambiato il modello di raccolta e abbiamo una serie storica di dati di cinque anni. Nei primi tre/ quattro anni c’è stata questa tendenza (riduzione della produzione rifiuti, nda), adesso invece c’è una tendenza all’aumento, probabilmente perché c’è una ripresa economica, nel senso di consumi che aumentano e quindi pur aumentando la differenziata aumenta anche la produzione di rifiuti nell’ordine dell’1/2%, mentre nel passato siamo scesi pure del 6/7%.”.
E questa tendenza trova riscontro anche a livello regionale, con Regioni virtuose (per livelli di RD, bassa produzione di RU e di RUR) come Veneto e Trentino aumento la produzione complessiva di RU, mentre a diminuirla son altre, dalle performance ambientali (e probabilmente economiche) certamente meno brillanti, come Molise, Liguria, Calabria5.
Se ad aumentare la produzione di RU è una Regione come il Veneto, che ne produce 456 kg all’anno per abitante, molto meno della media nazionale – pur in una Regione con 65 milioni di presenze turistiche, che ha i più alti livelli di RD (67,1%), che ha delle più basse produzioni pro capite di RUR, che ha livelli molto superiori alla media di implementazione della tariffa puntuale, c’è veramente da preoccuparsi. E si consolida un legame tra aumento dei RU e ripresa economica. Anche se anche in questo caso l’aumento del 9% dei RU deriva dallo sviluppo delle RD a fronte di un ulteriore diminuzione dei RUR del 2%.
Allora dobbiamo riprendere un ragionamento che parte dalla produzione (entrando in una logica circolare che attribuisca al produttore la responsabilità estesa anche ai suoi rifiuti), passa per i consumi e per i comportamenti degli utilizzatori finali (che vanno responsabilizzati a non comprare beni a rapida obsolescenza) , arrivando alla responsabilità del decisore politico, che deve organicamente inserire la riduzione e la prevenzione alla testa delle politiche di gestione dei rifiuti, inserendo nella tariffa le risorse per attivarle.
Va bene partire dalle buone pratiche di responsabilità estesa del produttore, dai casi di economia circolare realizzata, dalle brillanti applicazione della tariffa puntuale, dalla diffusione degli acquisti verdi, pubblici e privati, dagli interventi di filiera per produrre cibo sano, distribuirlo limitando le intermediazioni e recuperare e redistribuire le eccedenze. E l’elenco può continuare …
Ma in tutti questi casi, dobbiamo far sì che il legislatore si muova in modo più deciso e incisivo per trasformare le buone pratiche eccezionali in corrette consuetudini capaci di fare i conti con la sostenibilità.
Questo dignifica saper fornire gli adeguati strumenti normativi, economici e regolamentari.
Faccio solo alcuni esempi per spiegarmi.
Dopo il pur utile passo avanti dell’approvazione del Decreto sulla tariffa puntuale (che offre i chiarimenti di base sui presupposti – la misurazione e monte e le modalità di gestione – è necessario mettere mano alla normativa primaria6 e secondaria per riformare l’intero istituito tariffario in senso pienamente e compiutamente corrispettivo.
Non è un caso che, se con i Dlgs 22/97 e 152/06 avevamo capi e articoli organici sulla tariffa, la produzione normativa si sia successivamente dispersa (e se mi è consentito, immiserita) in una serie di articoli di legge di stabilità, poi continuamente cambiati, come è attualmente con gli articoli sulla tariffa della legge 147/13 e s.m.i. – con la bipartizione tra TARI (co. 639) e TARIP (co. 668). Tra l’altro, con una disciplina discontinua e in perpetua evoluzione di quelle agevolazioni e riduzioni che potrebbero incentivare la riduzione dei rifiuti.
Oppure pensiamo alla gestione di politiche di filiera che riducano in modo generalizzato la produzione di scarti.
Es. nella filiera alimentare va bene lo sviluppo delle doggy bag per recuperare il cibo non consumato nei ristoranti, che hanno un forte contenuto simbolico.
Ma forse sarebbe più utile affrontare, con norme, regolamentazioni, strumenti economici, i punti dove lungo la filiera si producono le quantità maggiori, magari con un ragionamento sull’end of life.
Penso a misure per incentivare il recupero (e la finalizzazione all’assistenza all’indigenza) della eccedenze produttive e della distribuzione (otre che dell’uso ristorativo), anche per combattere il “divario alimentare”.
Penso alla razionalizzazione delle misure (che pure cominciano ad esistere) per lo sviluppo dell’auto compostaggio (domestico e di comunità).
Penso allo sviluppo di un organico “piano nazionale” per lo sviluppo del compostaggio industriale come misura per il mantenimento della fertilità dei suoli e per il ruolo di sequestro del carbonio che può giocare in politiche di contrasto alle emissioni climalteranti.
Questi spunti potremmo moltiplicarsi e andare a toccare altri elementi dove il ruolo del legislatore è fondamentale per rimuovere gli ostacoli che rallentano politiche circolari delle risorse e dei rifiuti (si pensi ad es. alle conseguenze dei ritardi sui decreti hanno su tutto il settore del riutilizzo).
Insomma c’è bisogno di un intervento pubblico che rendere operative le “buone intenzioni” sulla riduzione dei rifiuti.
Non possiamo più accontentarci di mettere nel (pur giusto) risalto le buone pratiche.
Serve un atteggiamento normativo sistemico del legislatore che assume la circolarità dell’uso delle risorse e la prevenzione e la riduzione dei rifiuti come asse non soltanto ispiratore, ma capace di produrre strumenti concreti. Se ne sente la mancanza, e la “ripresa dei rifiuti” lo sottolinea …
http://ambienteinforma-snpa.it/rifiuti-urbani-di-nuovo-in-crescita-in-italia/
7 Non è un caso che, se con i DLgs 22/97 e 152/06 avevamo capi e articoli organici sulla tariffa, la produzione normativa di sia successivamente andata disperdendo (e se mi è consentito, immiserendo) in una serie di articoli di legge di stabilità, poi continuamente cambiati, come è attualmente con gli articoli sulla tariffa della legge 147/14 e s.m.i. – con la bipartizione tra TARI (co. 639) e TARIP (co. 668) e una disciplina discontinua e in perpetua evoluzione di quelle agevolazioni e riduzioni che potrebbero incentivare la riduzione dei rifiuti.