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26/10/2025

Una data da salvare per un anniversario che giunge al momento giusto: il 22 aprile si festeggia per la cinquantesima volta la “giornata delle terra”

Mai come in questo periodo possiamo comprendere dove ci porta lo stravolgimento del nostro rapporto con la terra, la perdita di biodiversità e la rottura degli ecosistemi


Sappiamo che deforestazione e perdita di biodiversità sono stati all’origine dello spillover, vale e dire del salto di specie per cui un virus è passato dal pipistrello all’uomo, con gli effetti disastrosi sulla nostra salute, sulle nostre vite e sull’economia che stiamo vivendo.

Oggi  un richiamo a riequilibrare il nostro rapporto con la terra è assolutamente centrale, ineludibile.

Quando, il 22 aprile 1970, 20 milioni di americani scesero  in campo per protestare contro lo sversamento di petrolio da un pozzo della Union Oil, si sperava di non dover arrivare al punto in cui ci troviamo oggi.

Fu il primo “giorno della terra”, che dette il via in nome della difesa dell’ambiente ad uno dei primi movimenti globali, che ha contribuito a far crescere la consapevolezza intorno ai temi ambientali, locali e globali, e a sensibilizzare opinione pubblica e (anche se in modo meno efficace) la politica sull’urgenza del problema.

Infatti ancora oggi non si è riusciti a fermare  l’”impazzimento” dello sviluppo.

Nel 2016 venne scelta la data del 22 aprile per chiudere la Cop 21 (la conferenza delle parti sul clima) con l’accordo di Parigi[1] che suscitò allor a molte speranze. 

Ma dopo qualche anno gli Stati Uniti si sono ritirati, assumendo una posizione “negazionista” in contrasto con solo con larga parte della società civile, ma anche della loro struttura industriale. 

Ora una pandemia che ha messo il mondo in ginocchio ci offre l’occasione di riflettere, dal momento che degrado ambientale e globalizzazione ne sono state la cause scatenanti.

Allora per la giornata delle terra è stato lanciato l’appello a impiegare lo stessa attenzione, la stessa “cura” (mai parola è più appropriata – nel senso non solo né tanto di “curare sintomi”, quanto soprattutto di “prendersi in carico”) che oggi ci prendiamo per difenderci dal virus e per curarlo se ci contagia, per prendersi cura della terra sulla quale e grazie alla quale viviamo.

Possiamo fare tante cose, per curarla.

Dalla News letter di Arpa Toscana ci vengono dati alcuni spunti[2], avvertendo che tanto di più può essere fatto nel quotidiano:

  • usa lampadine fluorescenti al posto di quelle a incandescenza
  • spengi le luci se non servono
  • non lasciare tv e computer in stand-by
  • non lasciare sotto carica il cellulare o il notebook più del dovuto
  • metti il coperchio sulle pentole quando cucini, per risparmiare altra energia
  • presta attenzione alla gestione dei rifiuti e alla corretta raccolta differenziata
  • adotta tutte alcune possibili nei confronti dell’acqua e del suo uso[3]  
  • compra prodotti sfusi e con meno imballaggi possibili
  • usa contenitori lavabili invece di quelli usa e getta
  • non sprecare il cibo, stando attento alle scadenze, a comprare ciò che è veramente necessario e a utilizzare gli avanzi.

Proprio a partire da quest’ultimo punto introduco un altro tema, a titolo esemplificativo: il problema della nostra alimentazione.

I Dpcm governativi sull’emergenza corona virus nel momento in cui scrivo ci confinano in casa. 

Ci consentono però di uscire per fare la spesa. 

Meta obbligata: la distribuzione commerciale (la GDO dove vediamo le grandi code o i piccoli e medi negozi di vicinato).

Dove (specie nella GDO) troviamo frutta e verdura che vengono da produzioni che puntano soprattutto alla quantità e all’abbassamento dei costi.   Spesso azzerano la biodiversità e si sostengono con fertilizzanti e pesticidi di sintesi.  Le carni poi vengono da allevamenti di animali spesso costretti a “vivere”  in condizioni di sovraffollamento, alimentazione forzata malessere che poi ci ritroviamo come tossine servite nei nostri piatti (ricordate gli allevamenti di suini che vete visto nei servizi televisivi su Wuhan? – o che non sia il caso di chiederci come mai il virus in Italia  ha colpito Regioni e zone dove questi allevamenti intensivi erano più presenti?). 

E’ grave che i Dpcm non parlino invece dei rapporti di scambio ambientalmente più sani, e praticati ormai da un numero crescente di persone anche nel nostro paese. 

Sono quelli che accorciano la filiera, mettendo in rapporto diretto produttori e consumatori: i mercati del contadino, i Gruppi di Acquisto Solidale, le vendite dirette sui luoghi di produzione. 

Il salto dell’intermediazione commerciale consente un notevole risparmio economico per chi acquista e la giusta remunerazione del lavoro di chi produce.

Tipicamente i gas acquistano biologico e biodiverso allo stesso prezzo al quale analoghi prodotti convenzionali si pagano in un supermercato

E soprattutto a risparmiare è l’ambiente, per la minimizzazione dell’impatto di trasporto e degli  imballaggi, oltre che degli impatti degli allevamenti intensivi.

Ecco un campo dove per la giornata della terra possiamo dare un contributo diretto.

Vogliamo continuare a comprare una produzione seriale e massiva, che avvelena a isterilisce la terra, magari venduta in strutture sempre più “iper” dove entrare a piccoli gruppi e aspettare distanziati con le nostre mascherine?

O scegliere di sostenere la produzione biologica e di impiegare un po’ più tempo per conoscere i produttori e  i loro prodotti e sostenerli dello loro sforzo per mantenere fertile e ben curato il nostro territorio?

Il corona virus sta costringendo anche i GAS ad adottare forme di consegna attente, rispettando le distanze interpersonali e munendosi di mascherine protettive durante le consegne.

Ma oggi chi si approvvigiona ai mercati dei contadino o attraverso la rete dei GAS non deve più accontentarsi di mangiare meglio, più sano o sostenendo un’economia compatibile e “rispettosa” della terra.

E non deve neanche solo accontentarsi di chiedere che questo modello venga riconosciuto, al pari di produzione e commercio “tradizionale”.

Deve cercare di affermarlo in termini di diffusione e consolidamento di questi circuiti e ottenerne non solo un riconoscimento (che è comunque un punto di partenza) ma ogni genere di facilitazione possibile, da quelle fiscali a quelle regolamentari e normative.

Deve soprattutto lanciare una grande campagna culturale perché ne sia sostenuta la superiore qualità ambientale.

Devono essere sostenuti perché “trattano meglio “ la terra e perché salvaguardano la salute dei suoi abitanti.

Per chiudere tornando alla Giornata delle terra va segnalato che quest’anno la cinquantesima edizione dell’Earth Challenge[4]  annuncia la nascita di una  grande campagna scientifica per cittadini.

Il gioco è semplice.

Utilizzando la tecnologia mobile e i dati scientifici aperti, Earth Challenge 2020 le persone di tutto il mondo potranno monitorare e mitigare le minacce alla salute ambientale nelle loro comunità, grazie alla app Earth Challenge 2020[5]. 

Il database risultante dalle osservazioni dei cittadini verrà visualizzato su una mappa pubblica e reso disponibile come dato aperto che i ricercatori potranno utilizzare.

Vedremo se e come funzionerà …


[1] https://www.minambiente.it/pagina/cop-21-laccordo-di-parigi

[2]http://www.arpat.toscana.it/notizie/notizie-brevi/2020/22-aprile-giornata-della-terra-questanno-il-clima-al-centro

[3] http://www.arpat.toscana.it/notizie/notizie-brevi/2020/22-marzo-2020-giornata-mondiale-dellacqua

[4] https://earthchallenge2020.earthday.org/

[5] https://apps.apple.com/gb/app/earth-challenge-2020/id1494183525?l=it

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