E ha detto che a salvarci non saranno le “grandi opere” ma una pianificazione pubblica e trasparente di opere di adattamento e mitigazione assieme alla forza dei nostri comportamenti.
A Venezia la notte del 12 novembre 2019 si è replicata l’”aqua granda” del 4 novembre 1966, che attirò sulla città l’attenzione del mondo sulla città devastata Venezia.
Quella che cinquant’anni fa (cinquant’anni nei quali un’economia industriale e di servizio è stata soppiantata dalla monocultura turistica, che ha portato da 120.000 a 50.000 gli abitanti della città storica) era stata percepita come una “disgrazia naturale” (in quei giorni vi fu anche l’alluvione di Firenze) – ma già non lo era1 – ora parla con più chiarezza.
E ci dice che il modello di difesa che nei decenni successivi venne prima pensato e poi avviato ( e non ancora portato a compimento) ha rivelato la sua assoluta inadeguatezza e impotenza rispetto ad una realtà, della quale cominciamo oggi a percepire la portata del mutamento in atto e il peso delle conseguenze.
Oggi abbiamo chiara coscienza del riscaldamento globale e sappiamo che il rialzo dei livelli dei mari mette a rischio le aree costiere.
Le prime misure su Venezia (contenute nelle Leggi Speciali del 1973 e del 1984) miravano alla ricostruzione di un equilibrio (idraulico e morfologico) della Laguna, compromesso dall’aumento dalla preclusione di spazi all’espansione della marea (con l’imbonimento di aree per l’industria e la chiusura al flusso di marea delle valli da pesca) e dallo scavo di canali (come per quello dei petroli) che ne stravolgevano la morfologia.
E puntavano anche alla salvaguardia delle residenze e alla manutenzione della città.
Successivamente il dibattito sulle misura per difendersi dall’acqua alta si è concentrato sulla momentanea chiusura al flusso di marea delle bocche di porto (i tre varchi di interscambio delle acque tra mare e Laguna – caratterizzato da un ciclico scambio di maree in entrata e in uscita2.
Fino a che si è arrivati alla scelta del MOSE3.
A molti fin dall’inizio la scelta è parsa sbagliata a pericolosa.
Per due ordini di motivi:
- L’essere frutto di un affidamento in concessione unica (cioè lo Stato italiano ha affidato senza gara l’opera ad un unico soggetto – un Consorzio di imprese che ha preso il nome di Venezia Nuova – non solo il ruolo di costruttore, ma anche quello di progettista);
- L’essere l’opera nata vecchia4 e ispirata ad una rigidità che rovescia completamente l’assioma che aveva accompagnato tutte gli interventi con i quali i veneziani sono stati in grado di governare la laguna per oltre un millennio5: quello delle reversibilità degli interventi. Sulla base del quale ogni opera doveva essere provata e se ne dovevano poter valutare gli effetti sull’organismo lagunare, prima di decidere se andare avanti o tornare indietro.
Sulla base del primo vulnus (che neppure i richiami della comunità europea a difesa di modalità di affidamento rispettosi della concorrenza sono riusciti a mettere in discussione) il MOSE ha svelato alcune della caratteristiche che ha assunto in Italia il modello di intervento basato sulla cosiddette “grandi opere”6:
- utilità discutibile o nulla;
- impatto ambientale pesantissimo senza prendere in considerazione le alternative possibili (compresa l’”opzione zero” 7);
- messa all’indice di qualunque opposizione da parte delle della popolazione e obiezione di merito da parte delle Comunità tecniche e scientifiche.
Il MOSE dimostra bene che l’obiettivo non è tanto la realizzazione dell’opera, quanto il suo prolungarsi come fonte di entrate (lecite e illecite) per chi ci gira intorno.
Da questo punto di vista si tratta di un caso esemplare: il progetto iniziale prevedeva costi pari a 3.200 miliardi di lire.
Con i lavori iniziati nel 2013, al momento però sono stati spesi 5,493 miliardi di euro per la realizzazione del 90% dell’opera.
Dei cinque miliardi e mezzo spesi, uno è andato in tangenti, come ha dimostrato lo scandalo giudiziario che nel 2014 ha portato a oltre 30 arresti rendendo necessaria la gestione straordinaria da parte dello Stato per poter portare a termine i lavori
Ma torniamo8 al cambiamento climatico e a quanto la vicenda veneziana fa emergere.
Il 12 novembre 2019 veneziano (l’”aqua granda 2.0”) parla al mondo da una dei suoi luoghi più rappresentativo ed amati.
Venezia e la Laguna (non a caso nel loro legame) sono un patrimonio Unesco dell’umanità.
Amati per la loro bellezze artistiche, architettoniche e ambientali.
Ma rappresentativi anche sul fronte degli effetti del cambiamento climatico, perché in prima linea come città costiera ed esposta all’innalzamento dei mari.
E perciò capace di parlare al mondo per le risposte che sarà in grado di sviluppare.
Sui due piani di intervento necessari: le politiche di adattamento e quelle di mitigazione,
Le politiche di adattamento partono dal presupposto che ormai le conseguenze del riscaldamento globale sono in atto e certe tendenze non sarebbero arrestabili nemmeno con un ipotetico (e al momento lontano) azzeramento immediato delle emissioni . Per cui le politiche di adattamento cercano di fare i conti con questa situazione, limitando – nel limite del possibile – i danni.
Le politiche di mitigazione sono invece interventi di contrasto attivo al riscaldamento climatico e mirano a contenerne e invertirne le tendenze negative.
Il 12 novembre veneziano dimostra con chiarezza l’assoluta inadeguatezza di politiche di adattamento basate su grandi opere e la possibilità di intervenire con opere che (magari anch’ esse di rilevante peso dal punto di vista di studi e risorse da concentrarvi) partano da una valutazione sistemica delle dinamiche ambientali in atto e si muovano alla ricerca di un “punto di equilibrio”.
Nel nostro caso: è del tutto evidente che con la crescita del livello del medio mare nel nord adriatico (che è stata rivista al rialzo sulla base delle misurazioni più recenti) renderà il “giocattolo MOSE” inutile nel giro di pochi anni .
Questo anche qualora dovesse essere concluso e funzionasse (entrambe condizione per le quali esistono dubbi motivati e che si continua a non voler ascoltare – alla faccia del principio di precauzione …).
Sono viceversa più interessanti (e su di essi andrebbero concentrate studi e risorse):
- da una parte la ricostruzione del riequilibrio idraulico e morfologico della Laguna con gli interventi ne conseguono9, purchè tutti sperimentabili e reversibili, secondo i princìpi che hanno consentito il governo e il mantenimento della Laguna nei secoli);
- dall’altra tutte le ipotesi di rialzo delle città, passando dagli interventi localizzati – già realizzati su singole insule urbane – al proporsi il rialzo uniforme e strutturale dall’intera piattaforma su cui poggia la città (con immissioni di acqua in falda profonda)
La cornice che dovrebbe contenere gli interventi di contrasto (sia di adattamento che di mitigazione) al cambiamento climatico sta in un “piano clima” che deve derivare da quelle ”Dichiarazione di Emergenza climatica”, con le quali le città riconoscono il cambiamento climatico come fattore che influenzerà tutte le politiche urbane sul breve medio e lungo periodo10.
Il Piano Clima deve essere capace di portare a coerenza le molte politiche, i molti interventi necessari e i molti soggetti pubblici e privati che dovranno realizzarli, partendo da un inventario delle fonti emissive, dalla definizione degli obiettivi di riduzione, dalla valutazione del rischio e della vulnerabilità e dalla scelta delle azioni.
Fondamentale sono le azioni di informazione, comunicazione e coinvolgimento dei cittadini necessarie ad aumentare la consapevolezza dei problemi e la disponibilità al cambiamento di comportamenti e stili di vita.
Nella sua definizione vanno coordinati tutti i piani dell’Amministrazione relativi ai diversi settori di competenza: dall’urbanistica alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio pubblico e privato, alla gestione dei rifiuti, alla promozione delle energie rinnovabili, alla mobilità sostenibile, allo sviluppo degli spazi verdi e delle aree boscate.
Ed ecco che ne devono derivare interventi di “mitigazione”.
Anche qui la situazione veneziana può essere utilizzata per fare degli esempi concreti.
L’infrastruttura verde
Una struttura di mitigazione realizzabile per le città (d’acqua e di terra) potrebbe essere la realizzazione di una vera e propria “infrastruttura verde” collegando in una rete continua, consapevolmente progettata per svolgere funzioni ecosistemiche: aree naturali e seminaturali, spazi aperti, alberature, aree boscate, parchi e aree verdi ed elementi verdi (facciate, tetti degli edifici, coperture ecc.).
La rete deve dare nuovo senso agli elementi esistenti e integrarli con elementi nuovi per assicurare le caratteristiche di continuità fisica e di capacità funzionale proprie del concetto di “infrastruttura”.
La rete verde riduce l’inquinamento dell’aria e favorisce stili di vita attivi che migliorano la salute dei cittadini, aiuta il governo delle acque e la regolazione del micro clima, collabora, attraverso il sequestro della CO2, a contrastare il cambiamento climatico e a ridurre il consumo energetico. Comunque mantiene e accresce il tradizionale significato del verde urbano come elemento di bellezza dei luoghi della vita quotidiana.
La progettazione e realizzazione della rete verde spetta all’Amministrazione, ma può coinvolgere anche cittadini volontari, soggetti desiderosi di compensare le emissioni climalteranti dovute, ad esempio, alla loro attività produttiva o alla organizzazione di eventi di richiamo al fine di qualificare positivamente l’azione compensata.
il Comune può partire dalla riproposta del Parco della Laguna e far tesoro di tutti i Parchi, le aree boscate e gli spazi verdi esistenti.
Ma potrà anche chiamare i cittadini a collaborare per aumentare gli elementi verdi attraverso la promozione della cura del proprio spazio verde nelle città, anche fuori terra, sul marciapiede di fianco alla loro casa.
Come spesso succede nelle città del nord Europa, a livello di zona o di quartiere la realizzazione della rete verde dovrà essere il frutto del lavoro comune di Amministrazione e cittadini per l’esplorazione delle possibilità, il riconoscimento dei beni comuni emergenti come spinta al miglioramenti degli spazi pubblici e alla riqualificazione del patrimonio edilizio-
La gestione delle aziende speciali pubbliche e il Green Public Procurement
E’ possibile usare strategicamente l’azione delle società partecipate
La gestione delle aziende partecipate con politiche mirate alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico è uno strumento fondamentale dell’azione comunale.
Il tema riguarda in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici (pubblici e privati – Veritas), il miglioramento della mobilità (AVM e ACTV) con ambientalizzazione dei mezzi (elettrificazione, innovazione tecnologica, ecc.) e dell’esercizio, una gestione dei rifiuti in termini di economia circolare e l’adesione dal Comune alla strategia “rifiuti zero” (Veritas).
Altrettanto importante è il coinvolgimento del tessuto economico della città per aumentare il livello di preparazione e di efficienza energetica, creare un ambiente favorevole alle iniziative virtuose, usando strumenti del settore pubblico come il green public procurement, ovvero le politiche di acquisto dell’amministrazione pubblica.
E’ possibile una croceristica sostenibile?
Eliminare il passaggio delle grandi navi dalla Laguna ne eviterebbe l’effetto distruttivo su idrodinamica e morfologia lagunare.
Spostarle fuori Laguna evita questi impatti, ma non contiene il consumo di risorse fossili non rinnovabili e semplicemente sposta il luogo dell’immissione dei fumi (i quali però continuano a inquinare l’aria).
Il problema di un altro crocierismo va posto per la sua compatibilità ambientale generale e nelle sue ricadute veneziane.
La notizia dello sviluppo di navi da crociera a propulsione elettrica e alimentate da pannelli solari installati sulla nave, di stazza limitata e sufficiente a trasportare poche centinaia e non alcune migliaia di persone è una buona nuova.
Risolve molti degli impatti negativi che il crocierismo ha oggi su Venezia a sulla laguna (ma non solo): non inquina, non ha bisogno di scavare canali larghi e profondi, può servirsi delle infrastrutture esistenti.
Oltre a tutto, una crociera tornerebbe ad essere un viaggio e non una sosta prolungata – interrotta da scali – in un grande centro commerciale, come sta diventando oggi.
Vale la pena sviluppare questa possibilità, che la necessità di mitigare il cambiamento climatico la imponga
Dalla gestione circolare dei rifiuti all’impegno in prima persona
“Rifiuto” è concetto intrinsecamente opposto all’economia circolare.
Ma i rifiuti vi rientrano se la gerarchia per la loro gestione mette al primo posto la loro prevenzione (che riduce la quantità di risorse – energetiche e materiche – dissipate) e la preparazione per il riutilizzo (che ne prolunga la vita), seguite dal loro recupero come materia attraverso compostaggio Allora gli indirizzi che il Comune dà alla sua azienda partecipata (Veritas spa) e i controlli sul loro rispetto sono molto importanti
E in questo momento non mancano anche a Venezia le iniziative da prendere per rendere sostenibile e avviare verso la circolarità la gestione dei rifiuti. Alcuni esempi;
- estensione della raccolta dell’organico e domiciliarizzazione della raccolta in tutto il Comune (oggi si fa solo in terraferma);
- forte segnale sul piano dell’impiantistica e del trattamento / recupero dei rifiuti, con un blocco dei ogni ampliamento dell’inceneritore di Fusina e lo sviluppo delle filiere di riuso e riciclo;
- programma comunale di prevenzione e riduzione dei rifiuti coinvolgendo albergatori e pubblici esercizi, oltrechè le famiglie; al suo interno è possibile studiare un progetto speciale su “turisti e rifiuti”
Segnalo infine una opportunità che va al di là del contesto locale.
Quando ci si trova di fronte ad una Azienda pubblica un po’ “pigra” rispetto ad una gestione circolare dei rifiuti può essere valutata l’opportunità di un di un “affiancamento di indirizzo” che ne rinnovi amministrazione e/o dirigenza con un affiancamento da parte dei gestori pubblici più “avanzati”.
Non è il caso di farci un pensierino nel caso veneziano?
La “pigra” Veritas (dove si trova un gestore che ne 2019 non abbia ancora introdotto la raccolta dell’umido, almeno nella città d’acqua) si trova a pochi chilometri dalla trevigiana Contarina, che ha già traghettato con successo alla gestione integrata a circolare dei rifiuti altre situazioni (es. in Val di Fiemme o in provincia di Forlì) con risultati ambientalmente ed economicamente ottimi …
Inoltra anche a Venezia è partita la campagna contro la plastica monouso, la cui eliminazione è uno dei punti dipartenza, fortemente simbolico ma anche di grande sostanza, per passare dalla “pigra” economia lineare ad una economia circolare che freni inquinamento e dissipazione delle risorse.
Il Comune ha “formalmente” aderito11 con una delibera che dà mandato alle Direzioni comunali di realizzare tutti gli atti necessari ad eliminare per quanto possibile la plastica “usa e getta” dalle sedi comunali e di enti o istituzioni partecipate e/o controllate da parte dell’Amministrazione comunale, privilegiando materiali durevoli e/o biodegradabili, nonché di eliminare, in modo graduale, gli oggetti di tipo plastico.
Credo che il tessuto associativo veneziano potrebbe muoversi.
E non soltanto per controllare e richiedere che la pratica che segue sia virtuosa quanto gli indirizzi nel comportamento del Comune.
Ma per metterci del suo e allargare le richieste. Ne abbiamo già parlato su queste pagine12: non solo è necessario “partire da noi”, ma ragionare su come possiamo sostituire gli oggetti di plastica che usiamo, almeno quelle usa e getta, con alternative più sostenibili:
- borracce riempibili vs bottiglie e perdere;
- posate e stoviglie riutilizzabili vs quelle a perdere;
- cassette ortofrutta a rendere vs a perdere;
- borse per la spesa in tela o comunque riutilizzabile vs. sacchetti a perdere (o anche biodegradabili: il non rifiuto è sempre meglio del rifiuto riciclabile o compostabile);
- bottiglie e confezioni per detersivi a rendere anzichè di plastica a perdere, e via dicendo.
Venezia laboratorio internazionale sul cambiamento climatico. Al di là delle parole
Un’ultima cosa.
Questo evento tragico ha messo in primo piano Venezia, oltre che per le sue bellezze storiche artistiche e ambientali anche come possibile laboratorio permanente che consente di monitorare gli effetti del cambiamento climatico.
Venezia ha due importanti Università in grado di portare un contributo al recupero urbanistico e ambientale di città e Laguna.
Sarebbe molto importante che da una sinergia tra di loro potesse prendere forma un centro di saperi e pratiche che sapesse coordinare e coinvolgere anche l’apporto di altre università e centri di studio e soprattutto l’insieme di forze culturali e scientifiche che, anche al di fuori del mondo accademico, in questa città e/o su questa città ha saputo costruire scienza e conoscenza.
Perché questo potrebbe essere il nucleo fondativo capace di portare qualsiasi ipotesi di centro di studi sul cambiamento climatico (europeo o mondiale che sia) sulla giusta strada.
Che non è quella di creare un’altra Accademia, ma di avere un nucleo scientifico capace di produrre proposte all’altezza e con i tempi e i modi imposti dal cambiamento climatico.
Oggi Venezia ha bisogno di un “nuovo Manuzio”.
Che come fece Aldo che agli inizi del ‘500 trasformò Venezia nella capitale mondiale delle stampa a della cultura13, così oggi è possibile che a Venezia si sviluppino le migliori politiche di contrasto (adattamento e mitigazione) al cambiamento climatico.
1In realtà non lo era, dal momento che un evento meteo eccezionale (ma non impossibile) impattò con il dissesto idraulico e morfologico della Laguna avviato con l’inizio dello scavo del canale dei petroli.
2 Sie ore la crese, sie ora la cala – sei ore cresce e sei ore cala – come si sa a Venezia.
3 Un acronimo biblico che sta per modulo di sollevamento elettromeccanico.
4 L’opera nacque negli anni ‘80 e la sua realizzazione part’ nel 2013; si tratta di un progetto che venne giudicato troppo rigido quando si trattò di scegliere le difese a mare in Olanda
5 Mantenendo in equilibrio un organismo naturalmente destinato o ad interrarsi o a trasformarsi in braccio di mare.
6 Prima e forse ancor più paradigmatico il TAV in val Susa, ma l’elenco è lungo …
7 A Venezia su invito del Comuni vennero presentati una decina di progetti alternativi, ma neppure presi in considerazione dal Consorzio.
8Rimando che volesse un mio più articolato giudizio su questa vicenda a https://ytali.com/2019/11/26/il-cambio-di-passo-imposto-dal-climate-change-passa-da-venezia/
9 Con interventi quali:
rivedere la sezione delle bocche di port;
rinaturalizzare e non scavare ancora i canali di accesso;
inibire l’entrata in Laguna delle navi -sia turistiche che porta container- oltre una certa stazza;
riaprire al flusso di marea le valli da pesca;
contrastare la pe rdita di sedimenti.
Vedi anche Armando Danella “# Mose – il Video che smonta l’opera” – https://ytali.com/2019/11/18/venezia-mose-il-video-che-smonta-lopera/
10 La parti che seguono sull’emergenza climatica a Venezia sono in gran parte tratte dal documento messo a punto dal tavolo emergenza climatica dell’iniziativa civica “per un’altra città possibile”; una elaborazione collettiva che ha visto come referente Maria Rosa Vittadini e come facilitatore Sandro Caparelli.
11 https://live.comune.venezia.it/it/2019/07/il-comune-di-venezia-aderisce-alliniziativa-plastic-free-challenge-liberare-ca-farsetti-e-1
12 https://www.labelab.it/dfgh987/limpatto-delle-plastica-per-mare-e-per-terra-e-le-sue-immissioni-di-co2-segnali-positivi-dallevoluzione-della-normativa-ma-e-necessario-muoversi-presto-per-non-compromettere-il-fut/ https://www.labelab.it/dfgh987/mangiamo-beviamo-respiriamo-plastica/
13 https://ytali.com/2017/07/02/come-un-territorio-diventa-creativo-una-lezione-veneziana/