Stanno nascendo e/o sviluppandosi rapidamente luoghi capaci di ottimizzare il recupero e l’avvio al welfare locale delle eccedenze (alimentari e non), ma anche di cercare risposte alle domande del disagio.
Parto da due considerazioni, una culturale e una socio economica.
Dal punto di vista culturale ritengo i “rifiuti” non scarti ma risorse (in senso merceologico).
So anche che chi è “rifiutato” da chi non sa relazionarsi al “diverso” costituisce in realtà spesso una ricchezza per la società – e quindi per ognuno di noi[1].
Sul piano economico rilevo che in tempi di crisi i “rifiuti” contribuiscono a sostenere un welfare locale che fa sempre più fatica a trovare le sue risorse nella fiscalità generale – come nel caso dell’avvio delle eccedenze alimentari al sostegno delle mense per indigenti.
Caritas, nel Rapporto 2015 sulle politiche contro la povertà in Italia – presentato il 15 settembre 2015 a Roma[2], prende atto della crescita della povertà nel nostro paese[3] e del fatto che “l’indebolimento strutturale della società italiana – basti pensare alla fragilità delle reti familiari e del mercato del lavoro – rende irrealistico immaginare di tornare ai livelli di povertà del 2007 “.
In una situazione che vede il nostro paese tradizionalmente in ritardo nel contrasto alla povertà[4] servono, dice il rapporto, interventi strutturali come l’introduzione del “reddito di cittadinanza” e un ripensamento delle politiche specifiche.
Dal Rapporto sull’inclusione sociale., che la stessa Caritas ha presentato ed Expo 2015[5], sappiamo che più di 53 milioni di persone nell’Unione Europea non riescono a soddisfare in modo stabile l’esigenza di un pasto adeguato. A fronte di una media del 10,5%, in Italia sono il 14,2% della popolazione, con un incremento record del 130% in 5 anni.
Nel nostro paese nel 2014 sono stati erogati 6.273.314 pasti da 353 mense diocesane, che si affiancano a 3.816 centri di distribuzione viveri, promossi da 186 Caritas diocesane.
Accanto alle forme tradizionali di aiuto (mense e centri di distribuzione di pacchi viveri) si trovano quelle a carattere più innovativo e sperimentale come gli empori o market solidali, una risposta alla crisi che tiene insieme elementi di buona gestione delle risorse e capacità di inclusione sociale e culturale.
Di cosa si tratta?
In parole povere, si può dire che Empori Solidali sia un progetto con cui la comunità locale cerca di trovare una soluzione collettiva di contrasto alla povertà.
Nati come “market per le famiglie in difficoltà”[6] si allargano per offrire altre forme di solidarietà e superamento del disagio sociale per i “nuovi poveri”, resi tale dalla crisi.
Nel nostro paese sono una sessantina, e impegnano circa 2 mila volontari, come è emerso nel confronto all’esposizione universale su spreco alimentare, povertà e ruolo dei Centri di servizio per il volontariato il 17 settembre[7].
Sono attivi dal 2008 (Roma e Prato sono i primi nati da una volontà delle Caritas diocesane) e dopo i primi anni di esistenza solitaria hanno fatto registrare una crescita ampia negli ultimi tre anni, quando sono state registrate ben 25 nuove aperture.
I 60 attualmente censiti sono distribuiti sul territorio regionale italiano in modo quasi omogeneo: 16 regioni ne hanno almeno uno: 9 al Sud, 23 al Centro e 27 al Nord.
In particolare, la classifica è guidata dall’Emilia-Romagna con 14 empori; seguono Umbria e Toscana con 6; Lombardia con 5; Marche, Friuli Venezia Giulia con 4; Piemonte, Abruzzo, Puglia e Calabria con 3; Valle d’Aosta, Liguria, Veneto e Sicilia con 1.
In totale i beneficiari di queste iniziative sono oggi circa 60.000, ma in questi primi 7 anni sono state aiutate altre migliaia di persone che ora sono uscite dal programma di aiuto o sono sostenute da altre realtà dei territori[8] .
La mappa degli empori attivi in Italia è reperibile al link in nota[9].
Di fronte a questi dati, quale può essere il contributo del Gestore dei rifiuti?
Semplice: lavorare perché lo spreco alimentare diminuisca e insieme diminuiscano i rifiuti da trattare.
Come si fa? Da una parte lavorando sui consumi e sull’offerta di cibo, cioè incoraggiando: i Gruppi di acquisito solidali (GAS), i mercati a chilometro zero di prodotti di qualità certificata, i ristoranti che esaltano le tradizioni enogastronomie locali e fanno portar via ai clienti le porzioni non consumate, i negozi bio e commercio equo e solidale e via dicendo.
Dall’altra incrementando il recupero delle eccedenza alimentari e facendosi contaminare dall’idea di dono e di distribuzione solidale, mettendo a disposizione delle onlus che le raccolgono tutti i sostegni che si possono mettere in campo.
Dalle manovre tariffarie per incoraggiare e rendere più conveniente la devoluzione alla messa a disposizione di mezzi che abbiano raggiunto i tempi di ammortamento ma siano ancor in grado di aiutare chi raccoglie e veicola il cibo.
In questo disegno appare importante che i gestori degli empori cerchino sempre più, affiancando all’aiuto operativo di onlus e volontariato un ruolo strutturato delle aziende di gestione rifiuti, di incrementare la quota di cibo recuperato (sottraendolo al destino di rifiuto) su quella di “donazioni dallo scaffale”.
[1]Un esempio per provarlo sta nel fatto che il bilancio dell’INPS – la possibilità stessa per gli “italiani” di ricevere una pensione adeguata – è tenuta in piedi dai contributi pagati dai lavoratori immigrati, da alcuni considerati rifiuti perchè “ci tolgono il lavoro”
[2] http://www.caritasitaliana.it/home_page/area_stampa/00005994_Rapporto_2015_sulle_politiche_contro_la_poverta_in_Italia.html
[3] L’Istat attesta che la percerntuale di famiglie italiane in stato di “povertà assoluta” passa dl 2007 al 2013 del 3.1% al 6,8%.
[4] Dal rapporto di evince che l’Italia è l’unico paese europeo, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale mirata a sostenere l’intera popolazione in povertà assoluta (reddito di cittadinanza), l’attuale sistema di interventi pubblici risulta del tutto inadeguato, frantumato e centrato su prestazioni monetarie nazionali mentre i servizi alla persona di carattere locale sono sottofinanziati. In Italia la percentuale di stanziamenti dedicati alla lotta alla povertà è dello 0,1% sul PIL, a fronte di una media europea dello 0,5%.
[6] v. in caso delle case Zanardi Bologna – http://www.casezanardi.it/upload/scheda-sintesi-empori-solidali_548dd67166488.pdf o Portobello a Modena – http://www.portobellomodena.it/
[7] http://www.csvnet.it/notizie/le-notizie/notiziecsvnet/1686-ad-expo-l-evento-di-csvnet-per-la-lotta-allo-spreco