E’ stata divulgata la ricerca “Proprietà e funzionamento del settore idrico: un dibattito internazionale in evoluzione rispetto alle proposte di nazionalizzazione in Italia”, condotta dal Centre on Regulation in Europe (CERRE) e presentata a Roma da Utilitalia e dalla Fondazione Utilitatis. Il lavoro, curato dal professor Sean Ennis, fa luce sulla situazione internazionale, sui fondamenti della regolamentazione dell’acqua e sulle azioni da mettere in campo per sistemi più efficienti e sostenibili. Dal rapporto emerge che non conta che la proprietà del gestore idrico sia pubblica o privata, ciò che importa è che il servizio sia efficiente, soddisfi gli utenti, con standard di qualità elevati e omogenei in tutte le aree del Paese.
La principale caratteristica economica del settore idrico, spiega lo studio, è la dipendenza da un’infrastruttura fissa (gli acquedotti), che non è di proprietà del gestore, ma data in concessione dallo Stato. La condizione della rete è fondamentale per comprendere la capacità del sistema idrico di raggiungere i target e gli standard qualitativi adeguati al soddisfacimento dei cittadini. E’ opportuno in particolar modo in situazioni, come quella italiana, nelle quali è necessario incrementare il livello degli investimenti per colmare il gap infrastrutturale, in particolar modo in un contesto di limitate capacità di risorse pubbliche.  Diventa un tema centrale riuscire a garantire adeguati investimenti nelle infrastrutture. In base alla necessità di finanziare gli investimenti per le infrastrutture, il rapporto propone degli scenari a seconda della proprietà: se si intende coinvolgere il privato, è necessario garantire un’adeguata copertura dei costi del capitale; al contrario, se è il pubblico a dover investire sulla rete, potrebbe dover ricorrere in maniera più massiccia alla fiscalità generale”.
Da questo punto divista  una regolazione indipendente può stimolare gli investimenti nel settore, sia in presenza di società pubbliche che di privati. La maggior parte dei Paesi dell’Ocse dispone di autorità di regolazione per l’acqua con una notevole indipendenza dal Governo. In Italia un aspetto chiave è che, accanto a operatori idrici di grandi dimensioni, esiste ancora un grande numero di operatori molto piccoli. Ci si chiede perciò, da un lato, se operatori di così piccole dimensioni siano in grado di sfruttare le economie di scala, e dall’altro se il mantenimento di questi operatori possa far aumentare il costo dell’acqua.
Soprattutto nel sud e nelle isole, sarebbe importante destinare le risorse finanziarie disponibili alla costruzione di serbatoi, a nuovi approvvigionamenti, al riutilizzo delle acque reflue, alla riduzione delle dispersioni e alle interconnessioni tra acquedotti. Al contrario si rischia di impegnare fondi pubblici per una riorganizzazione del settore che potrebbe allontanarci dal conseguimento di questi obiettivi”.
Articolo completo qui.
Fonte: Il sole 24 Ore