I numeri dell’abnorme diffusione della plastica e dei rifiuti che ne derivano.
Una panoramica dello stato dell’arte sui suoi impatti e in particolare sulla crescente contaminazione di mari ed oceani.
Quello che si può fare, dai primi significativi interventi comunitari agli interventi normativi e regolamentari nazionali e regionali, al peso delle nostre scelte di consumo e delle azioni concrete di ognuno di noi.
Per concludere, ancora una volta, che “prevenire è meglio che curare” e che il nostro contributo può essere decisivo.
Il 5 giugno, giornata mondiale dell’ambiente – quest’anno dedicata alla lotta alla plastica monouso
Ogni anno l’Onu il 5 giugno celebra la giornata mondiale dell’ambiente[1], dedicandola a incoraggiare la consapevolezza e l’azione a livello mondiale per la protezione del nostro ambiente.
Quest’anno l’attenzione è stata posta sul tema della la lotta alla plastica monouso.
Lo slogan scelto è Beat Plastic Pollution. If you can’t reuse it, refuse it.
Siamo di fronte a uno dei problemi ambientali più urgenti e preoccupanti degli ultimi anni, che riguarda l’inquinamento dei mari e degli oceani, messi sempre più a dura prova dalla plastica.
Molti tra i più importanti web site ambientali italiani ne hanno richiamato l’importanza, da quello di Ecomondo[2] a quello delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale[3].
Pochi numeri danno a dare un’idea dell’impatto di questa contaminazione:
→ nel mondo si stima che i sacchetti di plastica utilizzati ogni anno siano fino a 5 trilioni
→ 13 milioni di tonnellate di plastica vengono gettate in mare ogni anno
→ sono necessari 17 milioni di barili di petrolio all’anno per la produzione di plastica
→ le bottiglie di plastica acquistate ogni minuto sono 1 milione
→ ogni anno 100.000 di animali marini sono uccisi dalla plastica
→ Il 50% delle materie plastiche di consumo è monouso
→ Il 10% di tutti i rifiuti generati dall’uomo è plastica
La risposta proposta per battere contaminazione e inquinamento da plastica sta in un invito a riciclarla, se proprio non si può riusarla.
Ritengo invece siano ancora troppo timidi gli accenni, alle possibilità della prevenzione del suo uso.
Che non è fatta solo di sostituzione del petrolio con materiali bio degradabili o a minor impatto per fare gli stessi oggetti (si pensi al fiorente mercato dei derivanti dal mais per la produzione di sacchetti o stoviglie, bicchieri e posate a base di amido di mais).
Ma anche e soprattutto di sostituzione di oggetti monouso con oggetti duraturi e pluriuso.
Questo è a mio avviso l’elemento fondamentale, specie per campagne, come quella lanciata dall’ONU, che mirano a quel cambio di mentalità necessario a trasformare i nostri comportamenti e le nostre azioni.
Ma facciamoci un giro tra i temi più in rilievo che hanno accompagnato questa giornata.
La plastica in mare e negli oceani è sempre di più
In testa dobbiamo mettere quello della dispersione della plastica in mare.
In passato abbiamo parlato anche sulla Finestra sulla prevenzione dei rifiuti delle “isole di rifiuti” che le correnti marine portano a formarsi negli oceani e dei danni arrecati agli ecosistemi a alla flora a alla fauna marina a sottomarina. In quella del 6 settembre 2011[4] già scrivevo “Le correnti hanno provocato la concentrazione di questa masse di rifiuti in alcune “isole”, prima nel Pacifico e successivamente anche nell’Atlantico”.
A distanza di sette anni voglio dare un’idea dell’impressionante aggravamento del problema.
Anche volendo cercare di aggiornare le stime fatte del 2011, cercando in rete ci si accorge che vi è una estrema difficoltà di effettuarle con precisione[5].
Difficoltà che è emersa palesemente nel caso del Pacific Trash Vortex, un’isola di rifiuti composta per il 99,9% da frammenti di plastica galleggiante per un totale di circa 80 mila tonnellate di plastica.
Vasta 1,6 milioni di km quadrati, circa tre volte la grandezza di stati quali il Texas o la Francia, una ricerca pubblicata lo scorso 22 marzo sulla rivista Scientific Reports, condotta dal 2013 al 2015 dalla fondazione olandese The Ocean Cleanup[6], stima dalle 4 alle 16 volte più grandi le dimensioni dell’isola rispetto alle stime precedenti.
La composizione dell’isola sarebbe formata da 1,8 trilioni di pezzi di plastica che nel 92% dei casi sono più grandi di 0,5 cm.
Al 46% è composta da reti da pesca. Riscontrate anche presenze di plastiche quali polietilene e polipropilene.
È una dei classici problemi che preferiamo “non vedere”, per non essere costretti a riconoscere gli impatti devastanti dei nostri stili di vita.
Dalla parte del mare, partendo dall’esperienza dei navigatori
Consiglio allora la visione del bel documentario.
Quella che emerge dal video Dalla parte del mare [7] è una triste verità: nessuna superficie marina è indenne dall’invasione della plastica.
Oceani e mari, purtroppo, stanno diventando sempre più la grande discarica di plastica del globo e la presenza di aree protette non rappresenta alcun un ostacolo per tale fenomeno.
La denuncia dei navigatori oceanici Soldini e Malingri è chiara e diretta: «non esiste più alcun luogo della terra escluso dalla minaccia plastica e noi tutti, con i nostri consumi e le nostre abitudini, siamo complici di questo disastro».
L’Europa verso un intervento sulle plastiche
Per far fronte a questo disastro ecologico, sta muovendosi l’Unione Europea, proponendo nuove norme di portata unionale per i 10 prodotti di plastica monouso che più inquinano le spiagge e i mari d’Europa e per gli attrezzi da pesca perduti e abbandonati[8].
Si parte da una capacità di dissuasione che si ritiene efficace se è vero che. stando alle rilevazioni di Eurobarometro, a seguito dell’iniziativa sulle borse di plastica nel 2015, il 72% degli europei dichiara di averne ridotto l’uso.
Saranno messi al bando i prodotti di plastica monouso per i quali sono facilmente disponibili soluzioni alternative, mentre si limiterà l’uso di quelli di cui non esistono valide alternative riducendone il consumo a livello nazionale; i produttori dovranno poi rispettare requisiti di progettazione ed etichettatura e sottostare a obblighi di gestione e bonifica dei rifiuti.
Con queste nuove norme l’Europa sarà la prima a intervenire incisivamente su un fronte che ha implicazioni mondiali.
Le imprese ci guadagneranno in competitività: una normativa unica per l’intero mercato dell’UE offre alle imprese europee un trampolino per sviluppare economie di scala e rafforzare la competitività nel mercato mondiale in piena espansione dei prodotti sostenibili.
L’Unione rivolge l’attenzione ai 10 prodotti di plastica monouso e agli attrezzi da pesca che, insieme, rappresentano il 70% dei rifiuti marini in Europa.
Le nuove regole introdurranno:
- il divieto di commercializzare determinati prodotti di plastica – dove esistono alternative facilmente disponibili ed economicamente accessibili, i prodotti di plastica monouso saranno esclusi dal mercato. Il divieto si applicherà a bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, mescolatori per bevande e aste per palloncini, tutti prodotti che dovranno essere fabbricati esclusivamente con materiali sostenibili. I contenitori per bevande in plastica monouso saranno ammessi solo se i tappi e i coperchi restano attaccati al contenitore;
- obiettivi di riduzione del consumo – gli Stati membri dovranno ridurre l’uso di contenitori per alimenti e tazze per bevande in plastica. Potranno farlo fissando obiettivi nazionali di riduzione, mettendo a disposizione prodotti alternativi presso i punti vendita, o impedendo che i prodotti di plastica monouso siano forniti gratuitamente;
- obblighi per i produttori – i produttori contribuiranno a coprire i costi di gestione e bonifica dei rifiuti, come pure i costi delle misure di sensibilizzazione per i seguenti prodotti: contenitori per alimenti, pacchetti e involucri (ad esempio, per patatine e dolciumi), contenitori e tazze per bevande, prodotti del tabacco con filtro (come i mozziconi di sigaretta), salviette umidificate, palloncini e borse di plastica in materiale leggero. sono anche previsti incentivi al settore industriale per lo sviluppo di alternative meno inquinanti;
- obiettivi di raccolta – entro il 2025 gli Stati membri dovranno raccogliere il 90% delle bottiglie di plastica monouso per bevande, ad esempio, introducendo sistemi di cauzione-deposito;
- prescrizioni di etichettatura – alcuni prodotti dovranno avere un’etichetta chiara e standardizzata che indica come devono essere smaltiti, il loro impatto negativo sull’ambiente e la presenza di plastica. Questa prescrizione si applica agli assorbenti igienici, alle salviette umidificate e ai palloncini;
- misure di sensibilizzazione – gli Stati membri dovranno sensibilizzare i consumatori all’incidenza negativa della dispersione nell’ambiente dei prodotti e degli attrezzi da pesca in plastica, ai sistemi di riutilizzo disponibili e alle migliori prassi di gestione dei rifiuti per questi prodotti.
Per quanto riguarda gli attrezzi da pesca, che rappresentano il 27% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge, la Commissione punta a completare il quadro normativo vigente introducendo regimi di responsabilità del produttore per gli attrezzi da pesca contenenti plastica: i fabbricanti dovranno coprire i costi della raccolta quando questi articoli sono dismessi e conferiti agli impianti portuali di raccolta, nonché i costi del successivo trasporto e trattamento; dovranno anche coprire i costi delle misure di sensibilizzazione[9].
Le proposte della Commissione passeranno ora al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio. La Commissione esorta le altre istituzioni a trattarle in via prioritaria e a dare ai cittadini europei risultati tangibili prima delle elezioni di maggio 2019.
Il 5 giugno, per celebrare la giornata mondiale dell’ambiente, la Commissione ha lanciato anche una campagna di sensibilizzazione a livello di UE per puntare i riflettori sulla scelta dei consumatori e sul ruolo che hanno i singoli cittadini nella lotta contro l’inquinamento da plastica e i rifiuti marini.
È evidente che i rifiuti marini prodotti dall’Unione sono solo una parte di un problema che ha portata planetaria, ma con questa iniziativa l’Unione europea assumerà un ruolo guida e sarà nella posizione per guidare il cambiamento a livello mondiale, attraverso il G7 e il G20 e l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite.
Le misure proposte aiuteranno l’Europa a compiere la transizione verso un’economia circolare, a realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite e a onorare gli impegni assunti sul fronte del clima e della politica industriale.
La direttiva poggia su norme esistenti, come la direttiva quadro sulla strategia marina e le direttive sui rifiuti, e va a integrare altre misure adottate per contrastare l’inquinamento dei mari, come la direttiva sugli impianti portuali di raccolta, e le proposte di restrizioni della microplastica e della plastica oxodegradabile.
Grazie alla direttiva proposta la Commissione stima che si trarranno benefici ambientali ed economici, ad esempio:
- si eviterà l’emissione di 3,4 milioni di tonnellate di CO2 equivalente;
- si scongiureranno danni ambientali per un costo equivalente a 22 miliardi di EUR entro il 2030;
- si genereranno risparmi per i consumatori dell’ordine di 6,5 miliardi di EUR.
Le ricerche sulla presenza dei rifiuti di plastica in mare
Le notizie sull’”invasione del mare” da parte della plastica e dell’impatto dei rifiuti plastici sull’ecosistema marino viene studiato in due modi: utilizzando indicatori “biologici” e valutando il rifiuto spiaggiato.
Studio dell’ingestione di plastica da parte di organismi marini
Al primo gruppo di studi appartengono studi come INDICIT (Implementation Of Indicators Of Marine Litter On Sea Turtles And Biota In Regional Sea Conventions And Marine Strategy Framework Directive Areas)[10], un progetto biennale finanziato dalla Commissione Europea e composto da dieci partner internazionali[11].
Nel 2010 la Commissione Europea decise di organizzare un gruppo di lavoro tecnico sul Marine Litter, al quale presero parte due esperti per ciascun Paese.
Si pensava ad uno studio che sviluppasse una metodologia comune per rendere operativo e confrontabile fra i vari Stati l’indicatore sulla quantità dei rifiuti marini ingeriti dagli organismi marini.
Nei mari del Nord si utilizza l’uccello marino Fulmarus Glacialis, ma la specie non è presente nel Mediterraneo (ed il gabbiano non può essere utilizzato perchè ricorre abbondantemente alla discarica per alimentarsi).
Ispra ha, quindi, proposto a nome dell’Italia la tartaruga marina Caretta caretta come specie bio-indicatrice e abbiamo quindi avuto l’incarico di verificarne la fattibilità (oltre all’Ispra il progetto vede coinvolti partner internazionali di Grecia, Spagna, Canarie, Azzorre, Francia, Tunisia e Turchia.
In questo modo grazie ad INDICIT si sperimenta una nuova metodologia per utilizzare la Caretta caretta nello studio dei rifiuti marini e verificare l’impatto delle microplastiche nei pesci.
Vengono eseguite analisi su due tipologie.
Sulle tartarughe vive, ospedalizzate nei centri di Recupero, mediante l’analisi dei residui fecali.
Su quelle spiaggiate morte, attraverso l’analisi dei contenuti stomacali[12].
Per misurare i livelli di ingestione, i grammi di marine litter ingerito vengono messi in relazione con i grammi di cibo naturale presenti nello stomaco dell’animale, considerando un esemplare con più grammi di plastica che cibo nello stomaco un animale in pessime condizioni di salute.
Inoltre vengono registrati i casi di entanglement, cioè il numero di tartarughe che rimangono impigliate in pezzi di rete o corde o nelle buste di plastica.
Dopo un primo anno di analisi eseguite su 611 tartarughe (187 vive e 424 morte rinvenute sulle spiagge) è emerso che il 53% degli esemplari presentava plastica ingerita. Tra le tartarughe morte, il 63% aveva plastica nell’apparato digerente, mentre tra quelle vive è stata rinvenuta nelle feci nel 31% dei casi.
I primi risultati del progetto mostrano, inoltre, quanto gli oggetti di plastica si spostino da un mare all’altro anche su grandi distanze per mezzo delle correnti marine. Ad esempio, nello stomaco di tartarughe spiaggiate in Italia è stato rinvenuto l’involucro di uno snack francese, insieme a cannucce, tappi, lenze e ami.
Analisi del rifiuto spiaggiato
Per affrontarla utilizzo i lavori di due Arpa italiane costiere, che attraverso la Marine Strategy[13], le realizzano il censimento dei rifiuti spiaggiati e lo studio sulla distribuzione e composizione delle microplastiche in mare. Ringrazio qui le Arpa Toscana e Veneto, i cui contributi utilizzo qui.
ArpaToscana ha prodotto un VIDEO dal titolo Rifiuti spiaggiati e microplastiche: l’attività di Arpa Toscana[14].
Il 75% dei rifiuti marini è costituito da materiale plastico.
Arpa Toscana è coinvolta nel monitoraggio di questi rifiuti ai sensi della Direttiva sulla strategia marina.
In primavera e in autunno li campiona su 5 spiagge della costa Toscana.
L’Agenzia monitora anche la presenza di microplastiche nelle acque del mare.
Il tema dell’inquinamento da plastica coinvolge attivamente anche Arpa Toscana che ogni anno, in primavera ed autunno, campiona i rifiuti presenti in 5 spiagge della costa toscana, per definirne quantità ed eventuali trends delle stesse e possibili fonti di inquinamento.
La categoria “plastica e polistirene” è quella maggiormente presente nei monitoraggi finora effettuati dall’Agenzia.
Il rifiuto dalle spiagge può finire o tornare in mare e frammentarsi in particelle sempre più piccole, le cosiddette microplastiche, di dimensioni inferiori a 5 mm, che si accumulano sulla superficie dell’acqua.
Le microplastiche possono veicolare virus, batteri, favorire il rilascio di inquinanti ed anche entrare nelle catene alimentari se ingerite dagli organismi marini e giungere all’ uomo tramite il consumo degli alimenti.
Anche i tecnici ArpaVeneto censiscono i rifiuti spiaggiati e studiano la distribuzione e composizione delle microplastiche rinvenute in mare. Tra questi rifiuti, le reti da pesca costituiscono una importante tipologia per le criticità tecnico-gestionali e per i numeri significativi
Per quanto riguarda il fenomeno dello spiaggiamento dei rifiuti marini, Arpa Veneto effettua il censimento su quattro spiagge, rappresentative dell’estensione costiera, soggette a differenti impatti (foci fluviali, aree portuali, centri urbani, etc.) attraverso il conteggio di tutti gli elementi visibili sull’arenile di dimensioni superiori a 2.5cm differenziandoli all’interno di predeterminate categorie.
Relativamente alle microplastiche[15], invece, Arpav effettua indagini su due aree antistanti, rispettivamente, i litorali di Venezia e Rosolina, con campionamenti superficiali tramite un retino chiamato Manta. Le microplastiche così campionate sono successivamente conteggiate e identificate allo stereomicroscopio suddividendole in base al colore ed alla forma (sfera, filamento, frammento, foglio) che ne determina la loro origine.
retino “Manta” per il campionamento delle microplastiche
Da quanto emerso fino ad oggi la percentuale maggiore dei rifiuti marini rilevati nelle spiagge appartiene alla categoria “plastica e poliestere” (mediamente l’80%) e la provenienza di tali rifiuti deriva dalla terraferma attraverso i fiumi che trasportano in mare tutto ciò che l’uomo direttamente o indirettamente vi getta, raggiungendo alla fine gli arenili soprattutto in seguito alle mareggiate.
La presenza di tali rifiuti è correlata a quella delle microplastiche in quanto queste ultime originano sia dall’uso umano diretto (micro granuli dei dentifrici, filamenti dei tessuti, etc.) sia dalla disgregazione di rifiuti plastici di dimensioni più grandi.
Dal conteggio delle microplastiche effettuato fino ad oggi, è emerso infatti che la maggior parte dei rinvenimenti appartiene alle categorie “frammenti”, che originano dalla disgregazione di pezzi di plastica più grandi, e “fogli” che derivano generalmente dalla disgregazione di sacchetti di plastica.
Le reti da pesca dismesse costituiscono una importante tipologia di rifiuto marino per le criticità tecnico-gestionali e per i numeri significativi. Ad esempio, per la sola Chioggia, cittadina di pescatori in provincia di Venezia, nell’ambito del progetto LIFE-GHOST sono stati quantificati 30.000 kg di reti dismesse all’anno per 224 pescherecci. A queste si aggiungono le calze per la mitilicoltura perse a causa di eventi meteo o incuria, e le reti “fantasma” abbandonate negli oceani stimate in 640.000 tonnellate (10% dei rifiuti presenti in mare fonte: FAO – UNEP, 2009). Nell’ambito del progetto GHOST sono state studiate le possibilità di recupero in base al materiale di composizione e alle modalità di raccolta e gestione.
La necessità di misure economiche, normative e regolamentari (dai livelli globali a quelli locali) per affrontare il problema della riduzione e della gestione circolare della “risorsa plastica” – si muove l’Europa
Da quanto abbiamo visto appare evidente la necessità di porre rapidamente un limite allo spreco (di materie prime preziose e in esaurimento (il petrolio) e all’inquinamento (che produzione e dispersione di plastica portano con sé).
Sul piano normativo, la strada avviata dall’Europa, che mira a ridurre l‘impatto del rifiuto e rendere circolare la gestione della risorsa plastica deve concludere il suo iter ponendo le proposte della Commissione al vaglio di Parlamento e Consiglio.
Successivamente dovrà passare alle normative nazionali degli stati membri e auspicabilmente essere estesa ad accordi extra continentali.
E infatti il Consiglio dei Ministri Ue dell’ambiente riunito il 25 giugno 2018 ha sposato la strategia della Commissione nella lotta alla plastica.
Sono state ha accolte con favore le comunicazioni della Commissione del 16 gennaio 2018 “Una strategia europea per la plastica nell’economia circolare”, “Attuazione del pacchetto sull’economia circolare: possibili soluzioni all’interazione tra la normativa in materia di sostanze chimiche, prodotti e rifiuti” e “Un quadro di monitoraggio per l’economia circolare ” ed è stato promesso un rapido esame della proposta di direttiva sulla plastica monouso presentata dalla Commissione il 28 maggio 2018.
Per sviluppare il mercato dei materiali riciclati il Consiglio Ue ha incoraggiato la progettazione ecocompatibile della plastica e dei prodotti in plastica che tenga conto già in fase di design dei requisiti di riutilizzo e riciclaggio.
A questo proposito il Consiglio Ue attende che la Commissione presenti la proposta di revisione della direttiva imballaggi (94/62/Ce) con un rafforzamento dei requisiti per l’immissione sul mercato e ha invitato la Commissione a estendere il principio dell’eco-progettazione a tutti i gruppi di prodotti con un’adeguata regolamentazione.
Se il problema è globale e mari e oceani non bagnano solo l’Europa ma tutti i continenti è una governance globale quella che serve a difenderci tutti.
Dal punto di vista della sostanza delle misure finalizzate al recupero degli scarti plastici e al loro ri utilizzo se possibile e poi riciclaggio come materia prima secondaria.
Ma in una gestione circolare è necessario partire dal risparmio di materia ed energia possibili con la sostituzione della plastica con altre materie e con la riduzione dei consumi che possono essere perseguite in moltissimo campi.
Vanno, solo a titolo esemplificativo, scoraggiate, quando non proibite non solo la produzione di beni plastici sostituibili, ma anche quelli che allo stato non lo sono, incoraggiando modalità alternative per soddisfare i bisogni cui quei beni danno risposta.
Ormai l’opinione pubblica è portata a prendere coscienza del problema, come dimostra l’attenzione posta dai media generalisti (interessante l’ampio servizio su “Microplastiche dal mare al cibo” tratto dal DATAROOM di Milena Gabbianelli e pubblicato sul Corriere della sera del 2 luglio 2018[16].
Gli strumenti da mettere in campo sono molteplici e vanno inseriti nelle pianificazioni dei rifiuti e anche industriali di settore:
- accordi di programma con produttori e distributori (con il coinvolgimento in Italia del consorzio per imballaggi in plastica Corepla);
- uso della tariffa rifiuti e di altre misure di eco fiscalità;
- misure di promozione culturale del “non suso” dei beni in plastica, in particolare di quelli a perdere.
Dalle scelte di consumo e di comportamento un contributo fondamentale; dobbiamo capire che “prevenire è meglio che curare” e agire di conseguenza
Dal mare quindi ci viene un drammatico campanello d’allarme su quanto dannoso sia il nostro “disattento” uso della plastica, specialmente di quella a perdere.
Si tratta di una stortura produttiva (e a monte anche culturale) di uno sviluppo in grado di sommare uno spreco di risorsa preziosa (la plastica è petrolio) ad un inquinamento del qual non sappiamo cogliere la portata. ambientale e sanitaria.
Chi avrebbe potuto pensare fino a prima della seconda guerra mondiale, che saremmo andati verso un mare con più plastica che pesci?
O che per la sua risalita nella catena alimentare attraverso il consumo ittico avremmo anche noi inconsapevolmente cominciato a mangiare (ed accumulare nel nostro corpo) plastica?
Eppure è successo e sta succedendo.
Per arrestare questa pericolosa deriva servono, come abbiamo visto, misure pubbliche, di gestione dei rifiuti e di pianificazione dell’economia.
Ma serve anche fare i conti con i nostri stili di consumo che determinano la nostra domanda di beni, tra i quali quelli di plastica (in particolare come imballaggio) hanno un peso rilevante e che non sappiamo neanche cogliere, abituati come siamo alla normalità dei consumi “mono dose” e/o in contenitori e/o stoviglie o beni a perdere
Quando prendiamo la vaschetta con la monoporzione da consumare davanti alla televisione, quando al supermercato ci facciamo riempire di sacchetti che poi butteremo, quando ci facciamo la barba con lamette a perdere, quando usiamo cotton fioc, quando ci sembra più “comodo” usare piatti, bicchieri, posate a perdere, non facciamolo senza pensarci.
Facciamoci tornare in mente le tartarughe spiaggiate e gli uccelli marini strozzati dalla plastica o le immagina delle isole della plastica negli oceani.
E pensiamoci su: se capiamo che dipende anche da ognun* di noi, potremmo cambiare – almeno in parte – le nostre scelte, per portare un piccolo contributo all’arresto del degrado (e al cambiamento dell’economia).
[1] La giornata mondiale dell’ambiente è stata proclamata nel 1972 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e ogni anno l’ONU sceglie un tema particolarmente pressante.
[2] https://iegexpo.mn-ssl.com/nl/link?c=3ikk4&d=k8q&h=9i1qa5425qnup6bqsqrpsv014&i=3o5&iw=1&n=2tg&p=H301802549&s=wv&sn=2tg
[3] http://arpat.httdev.it/f/rnl.aspx/?fgh=x4ot1bcdh=ss5-g:=_3uw10g1:b=hc6:kji:c:e&x=pp&zw&ejg1:b5ce_&x=pv&9m=ntsz_NCLM
[4] http://www.labelab.it/dfgh987/tendenze-catastrofichecresce-lallarme-nel-pacifico-per-lisola-dei-rifiuti/
[5] Anche i dati che seguono sono desunti dalla pubblicazione reperibile in rete di cui sopra (in https://www.rivistamicron.it/temi/plastica-in-vista/)
[6] https://www.nature.com/articles/s41598-018-22939-w
[7] https://www.rivistamicron.it/temi/plastica-in-vista/
[8] https://ambienteinforma-snpa.it/plastica-monouso-nuove-norme-ue-per-ridurre-i-rifiuti-marini/
[9] Per i dettagli delle nuove norme sugli attrezzi da pesca si veda qui
[10] https://indicit-europa.eu/
[11] Le notizie di questo paragrafo sono tratte dall’articolo “Tartarughe marine piene di plastica” pubblicato a cura di Anna Rita Pescetelli, con la collaborazione di Marco Matiddi, pubblicato in https://ambienteinforma-snpa.it/tartarughe-marine-piene-di-plastica/
[12] che Ispra effettua in collaborazione con gli Istituti zoo profilattici di Lazio, Toscana, Abruzzo, Molise, Sicilia e con i partner stranieri.
[13] Che mira a raggiungere il buono stato ambientale per le proprie acque marine, affiancando anche a tali attività campagne di informazione continua verso il cittadino e verso tutti i fruitori del mare al fine di sensibilizzarli sull’argomento.
[14] https://ambienteinforma-snpa.it/video-rifiuti-spiaggiati-e-microplastiche-lattivita-di-arpa-toscana/
[15] La presenza delle microplastiche in mare, piccole particelle generalmente inferiori a 5mm, ha effetti sulla salute degli organismi. Infatti, a causa delle loro ridotte dimensioni, possono essere involontariamente ingerite da diversi organismi marini e successivamente trasferite lungo la catena alimentare fino anche all’uomo.
[16] https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/?intcmp=exit_page