Dalla spinta della legge francese contro lo spreco alle petizioni che la richiedono alle iniziative del Governo. Cosa prevede la proposta di legge all’attenzione del Parlamento. Un contributo per rafforzarla.
BOX 1 Le dimensioni del problema Alcuni numeri sulle eccedenza alimentari in Italia
Secondo una indagine del Politecnico di Milano, ogni anno in Italia vengono generate 6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari: 2,5 milioni da parte dei consumatori, l’anello finale della filiera, 2,3 milioni dai produttori primari (gli agricoltori e allevatori, il primo anello) e il resto nella fase di trasformazione (0,18 milioni), distribuzione (0.77 milioni) e ristorazione (0,2 milioni).
Presi così questi numeri fanno un certo effetto, ma è importante considerare quanto valgono in percentuale queste eccedenze, rispetto alla quantità totale di cibo gestita in ogni fase. Si scopre così che le eccedenze generate nei campi sono il 2,9% della produzione agricola totale, mentre quelle generate nella fase di distribuzione rappresentano il 2,5% di tutte le merci mobilitate. Ancora meglio accade nelle aziende di trasformazione le cui eccedenze sono pari allo 0,4%, mentre sono maggiori gli impatti nella ristorazione (6,3%) e tra i consumatori (8%).
La prima conclusione da fare è che in Italia le eccedenze alimentari non sono altissime e già si fa molto per ridurle. Il dato percentuale dello 0,4% riferito alla fase di trasformazione indica l’attenzione delle aziende verso questo problema.
Se però consideriamo quante di queste eccedenze si trasformano in spreco il quadro è meno positivo, visto che ogni anno anno vengono sprecate ben 5,5 milioni di tonnellate di cibo per un valore di 12,3 miliardi di euro.
Di questa enorme quantità solo mezzo milione di tonnellate di quanto prodotto in più viene recuperato a scopo alimentare e donato a fini solidaristici. Il resto – tantissimo – viene riutilizzato per alimentazione animale o in ambito energetico oppure finisce nella spazzatura.
Anche in questo caso conviene dare un’occhiata ai vari stadi della filiera. Il dato più virtuoso è di nuovo quello della trasformazione, che recupera il 55% delle sue eccedenze. Seguono la produzione primaria, che recupera il 12%, la ristorazione (9%) e la distribuzione (8%). E i consumatori? Di fatto il 100% delle loro eccedenze viene sprecato.
Partendo dalla “scossa” data dalla legge francese che introduce il reato di spreco alimentare, si accenna alle petizione per averne una anche in Italia e alle più recenti iniziative del governo.
Ci si sofferma sulla proposta di legge che ha avviato il suo iter parlamentare, presentandola e commentandola con alcune proposte per migliorare gli strumenti per rendere strutturale la lotta allo spreco alimentare nel nostro paese
Ci si chiede se l’”anno dell’Expo” sarà una vetrina o porterà a passi in avanti concreti per “nutrire il pianeta”.
Ha infatti colpito tutti che in Francia il Parlamento ha varato una legge che introduce il “reato di spreco alimentare” [1] e impone alla Grande Distribuzione Organizzata (GDO) di donare il cibo in eccesso ai poveri.
Non tutti gli esercizi, per la verità: solo per gli ipermercati di oltre 400 metri quadrati, i titolari avranno l’obbligo di concludere un accordo con un ente di beneficenza, al fine di agevolare le donazioni alimentari.
Certo lo spreco non avviene solo nei supermercati (secondo la Federazione del Commercio e della distribuzione solo il 5% del cibo sprecato arriva da supermarket e dalla grande distribuzione); ma è un punto di partenza, e il passare da generici appelli a impegni cogenti è un fatto nuovo.
E poi la stessa legge promuove l’uso delle doggy bag: le bustine per portar via il cibo che non si riesce a consumare al ristorante.
Sulla stampa è stato subito segnalato il valore di esempio dell’iniziativa francese[2]
E in Italia?
Che sia merito di Expo, o del clima francese, qualcosa sembra muoversi anche da noi in questa direzione.
Sono state avviate raccolte di firme in calce ad una petizione che chiede una “legge contro lo spreco”[3] – “Emanare una legge italiana sugli sprechi, dopo quella francese (della quale si è parlato tanto quasi esclusivamente per le sanzioni penali), potrebbe rappresentare un’occasione per scrivere una norma, anche migliore, condivisa tra Parlamento, supermercati/GDO e organizzazioni di volontariato, che imponga la donazione degli alimenti senza punire le organizzazioni beneficiarie della medesima.“
La raccolta di firme avviata in un primo momento a livello nazionale è poi divenuta europea[4] ispirandosi al principio che “abbiamo bisogno di una direttiva molto semplice: ogni supermercato deve dare il proprio cibo invenduto a un’associazione o ente non profit di sua scelta”.
Il Governo italiano ha presentato un Piano[5] per ridurre gli sprechi e potenziare le donazioni agli indigenti – l’obiettivo è arrivare a un milione di tonnellate di alimenti donati nel 2016 – il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina ha parlato di misure per rendere più conveniente la donazione di alimenti da parte della grande distribuzione e delle industrie.
BOX 2 Le azioni del Governo per ridurre sprechi e potenziare gli aiuti agli indigenti
Martina: 1 milione di tonnellate di alimenti salvati dallo spreco entro il 2016. Puntiamo su un modello che incentivi il recupero
RENDERE PIU’ SEMPLICE E CONVENIENTE LA DONAZIONE DI CIBO
Per accelerare nella lotta agli sprechi, il Governo è pronto prima di tutto a rendere più conveniente la donazione degli alimenti rispetto alla loro distruzione da parte delle industrie e della GDO. Oggi se un’azienda vuole distruggere cibo non più in vendita è tenuta a fare alcuni adempimenti burocratici se il valore della merce è superiore a 10 mila euro, se vuole donare l’obbligo scatta a 5 mila euro. Il Governo vuole modificare la legge, alzando la soglia delle donazioni a 15 mila euro, semplificando la vita alle imprese che decidono di destinare le eccedenze a favore degli indigenti.
APPROVARE LA LEGGE SPRECO ZERO ENTRO IL 2015
Allo stesso tempo si punta ad arrivare all’approvazione entro il 2015 della Legge SprecoZero presentata alla Camera (v. sotto) che sta iniziando il suo iter proprio questi giorni in Parlamento. Nel testo sono previsti incentivi fiscali come lo sconto sulla tariffa dei rifiuti per chi dimostra di convertire lo spreco in donazioni e un taglio dell’Irap per le imprese che introducono sistemi innovativi a basso impatto ambientale. Con la nuova norma, poi, si interviene per potenziare il recupero degli alimenti, rafforzando la legge del “buon samaritano” che dal 2003 incentiva la riduzione dello spreco dei cibi dalla ristorazione, semplicemente equiparando al consumatore finale le Onlus che provvedono a recuperarli e a donarli agli indigenti. Con la nuove legge si allarga la platea dei soggetti che possono recuperare i prodotti e allargando l’elenco dei beni, inserendo anche i farmaci, l’abbigliamento, i prodotti per l’igiene e per la casa e i giocattoli per i bambini.
PROGETTI DI FILIERA CONTRO LO SPRECO IN AGRICOLTURA
Le
eccedenze nella produzione agricola spesso non vengono recuperate per motivi legati soprattutto alla deperibilità dei prodotti stessi. Per intervenire si sta lavorando su progetti di filiera dedicati, che vedano coinvolti i soggetti produttori agricoli, i trasformatori e gli enti caritativi. Proprio quest’anno è stato sviluppato un progetto pilota sulla trasformazione di mele in succhi che verranno donati agli indigenti.
100 MILA TONNELLATE DI CIBO DAL PIANO INDIGENTI DEL GOVERNO
“Entro il 2016 – ha dichiarato il Ministro Martina – vogliamo raddoppiare il cibo donato agli indigenti, portando a 1 milione le tonnellate di alimenti salvati dallo spreco. Siamo pronti a semplificare le leggi per rendere la donazione di alimenti più conveniente per chi produce e distribuisce. Per raggiungere l’obiettivo dobbiamo continuare a puntare su un modello che incentivi il recupero e la costruzione di rapporti forti tra gli enti caritativi e il mondo della produzione e distribuzione alimentare. Fermare lo spreco è un dovere tassativo, tanto più quando dobbiamo sostenere oltre 6 milioni di persone che soffrono di povertà alimentare nel nostro Paese. Il Governo sta facendo la sua parte, con un programma di aiuti che nel 2015 prevede l’aumento della distribuzione cibo da 65mila a 100 mila tonnellate attraverso le strutture degli enti caritativi in tutto il territorio. Dobbiamo fare di più e abbiamo voluto organizzare in Expo questo incontro del nostro tavolo di lavoro con tutti i soggetti coinvolti proprio per rilanciare l’azione su questo fronte”.
“L’innalzamento della soglia ai 15mila euro – ha affermato il Sottosegretario De Micheli – è un passaggio essenziale della nostra proposta per raggiungere l’obiettivo di ridurre al massimo gli sprechi alimentari. Altre misure a altri incentivi sono allo studio del Ministero dell’Economia che parteciperà al tavolo tecnico istituito sul tema. Donare deve diventare più semplice e conveniente che sprecare”.
Il Vice Ministro delle politiche agricole Andrea Olivero ha dichiarato: “Vogliamo potenziare ancora di più il grande lavoro che l’Italia fa da anni nel sostegno agli indigenti, abbinandolo a un rafforzamento del recupero del cibo che andrebbe sprecato. Expo è una grande occasione anche su questo fronte e da qui lanciamo un segnale forte per semplificare ancora la normativa aiutando chi ne ha bisogno. 12 miliardi di euro di spreco come ha ribadito il Presidente Mattarella, sono un insulto intollerabile”.
E infatti è all’attenzione del Parlamento una proposta di legge del significativo titolo “Norme per la limitazione degli sprechi, l’uso consapevole delle risorse e la sostenibilità ambientale ”[6],
La discussione parlamentare è appena partita.
La Finestra sulla prevenzione dei rifiuti presenta la legge e offre un contributo per renderla più efficace.
La proposta attua indicazioni contenute nella Direttiva 2008/98/CE, nel Programma nazionale di prevenzione Rifiuti (PNPR) e nel Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas), promuovendo una transizione verso un’economia circolare. Essa mira a prevenire e ridurre la formazione di rifiuti, ad una nuova organizzazione della produzione, a contribuire al raggiungere gli obiettivi del PNPR, del Pinpas e nel piano di riduzione dello smaltimento in discarica dei rifiuti biodegradabili..
Punta perciò a “favorire il recupero e la donazione dei prodotti invenduti a fini di solidarietà sociale”, oltre che a “contribuire ad attività di ricerca, informazione e sensibilizzazione dei cittadini e delle istituzioni”.
Si prevedono semplificazioni e limitazioni degli sprechi, semplificazioni e incentivazioni di natura fiscale, per arrivare anche a misure in materia di Appalti.
Dopo aver ampliato la platea dei prodotti donabili, estendendola ad altri prodotti che possono essere devoluti oltre l’invenduto o non commerciabile alimentare (art. 1), si ribadisce che i prodotti in scadenza possono possono essere ceduti a titolo gratuito ad associazioni senza fini di lucro e ai comitati di cui all’articolo 39 del codice civile che effettuano la raccolta di alimenti per soli fini benefici o per il sostegno vitale di animali.
Vengono individuate le categorie di prodotti che potranno essere devoluti a questi soggetti[7], con indicazioni per il ritiro dalla vendita e la conservazione dei prodotti, che possono poi essere primariamente destinati al consumo umano e poi, alternativamente:
a) ceduti gratuitamente alle strutture pubbliche di detenzione di animali di affezione e alle associazioni di tutela degli animali riconosciute almeno a livello regionale;
b) restituiti al fornitore;
c) destinati allo smaltimento
Si prevede di coinvolgere il Ministero della salute, accanto a quello dell’Ambiente, per una armonizzazione delle misure igienico-sanitarie per la cessione gratuita dei prodotti invenduti. Questo è un punto molto importante perchè è uno dei nodi che vanno risolti per allargare diffondere queste iniziative
Presso il Ministero dell’Ambiente si costituisce un Fondo nazionale per la ricerca scientifica finalizzata alla limitazione degli sprechi di risorse naturali per finanziare “progetti territoriali degli enti locali per il recupero e il riuso delle eccedenze e per la limitazione degli sprechi, anche con riferimento ai costi di progettazione e attuazione delle misure di prevenzione dei rifiuti e degli sprechi”.
Si prevedono anche:
- campagne informative istituzionali per sensibilizzare i cittadini sull’uso consapevole delle risorse e sulla sostenibilità ambientale, campagne informative e progetti volti a educare la cittadinanza e, in particolare gli alunni e gli studenti delle scuole primarie e secondarie, ad un uso corretto delle risorse ambientali;
- l’acquisizione dei dati sullo spreco alimentare lungo l’intera filiera dalla produzione al consumo finale da parte dell’ISTAT.
Con l’art. 10 si prevedono alcune semplificazioni di carattere fiscale e si definisce la modalità per provare l’avvenuta devoluzione.
Giustamente si prevede una semplificazione burocratica. Oggi se un’azienda vuole distruggere cibo non più in vendita è tenuta a fare alcuni adempimenti burocratici se il valore della merce è superiore a 10 mila euro, se vuole donare l’obbligo scatta a 5 mila euro. Il Governo prevede di alzare la soglia delle donazioni a 15 mila euro, semplificando la vita alle imprese che decidono di destinare le eccedenze a favore degli indigenti.
A fronte di questa semplificazione che è molto opportuna appare peraltro fondamentale che tutte le esperienze di donazione vengano monitorate nei loro effetti quali quantitativi: quanto rifiuti si evitano e come le donazioni arricchiscono le diete degli assistiti dagli enti che ricevono.
Solo così si valutano gli impatti della devoluzione e si possono ricavare indicatori utili alla progettazione.
Anche il capo che presenta importanti proposte sugli inventivi fiscali può essere migliorato .
Ad es l’art. 11 prevede l’applicazione alla parte variabile della tariffa dovuta dalle utenze non domestiche di un “coefficiente di riduzione”, proporzionale alle quantità di prodotti che il produttore dimostri di aver ceduto ai soggetti abilitati[8], per soli fini benefici o per il sostegno vitale di animali a titolo gratuito.
Il “coeffic
iente di riduzione” va applicato “senza nuovi oneri per la finanza pubblica”; il che significa che la riduzione viene coperta dalla tariffa e posta a carico delle altre utenze e non di “altre entrate comunali”.
Esso va determinato “dall’ente locale” (presumibilmente a livello del Regolamento di gestione della tariffa). Ai fini di renderlo “omogeneo a livello nazionale” si prevede che entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge siano individuati con DM del MEF i criteri omogenei minimi di agevolazione applicabili dagli enti locali.
La storia dei Decreti applicativi della Normativa ambientale non fa ben sperare nell’arrivare in questo modo ad una rapida operatività della misura. Tanto più che si prevede che essa venga implementato apportando (entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge …) le modifiche necessarie all’articolo 7 del regolamento di cui al DPR 158/99[9] (sono 16 anni che si aspetta che il legislatore metta mano al DPR 158/99 , per adeguare il Regolamento attuativo alle evoluzioni maturate con l’evoluzione della gestione dell’istituto tariffario!).
La proposta appare quindi di difficile attuazione (non è semplice raccogliere gli elementi per un corretto dimensionamento dell’indice) e, anche qualora fosse realizzata, di efficacia relativa.
Ritengo invece che la misura che assicura una premialità certa ed oggettiva per la devoluzione dello “scarto” alimentare sia quella di misurare il rifiuto in modo da consentire l’applicazione puntuale della tariffa alla singola utenza.
La legge potrebbe allora prevedere di inserire tra i C.A.M. del servizio di raccolta la misurazione del rifiuto, che dovrebbe riguardare almeno i rifiuti urbani residui (RUR) destinati allo smaltimento.
La misurazione di altre frazioni merceologiche potrebbe essere introdotta in modo selettivo per diverse categorie di utenze. Ad esempio per le utenze non domestiche (UND) che lo producono[10] si dovrebbe misurare il Food Waste (FW)[11]..
Ciò consentirebbe la determinazione e l’aggiornamento dell’indice su base locale, ma soprattutto e preferibilmente l’applicazione della tariffa puntuale che è e resta l’unico per applicare in modo giusto il principio “chi inquina paga”
Interessanti sono le facilitazioni per le ONLUS che si dotino di mezzi funzionali al recupero dello scarto alimentare devoluto per veicolarlo all’uso “sociale”, che vengono offerte dai fondi messi a disposizioni con gli art. 13 e 14 (anche se la loro limitatezza le rende poco più che simboliche)
Infine abbiamo una misura in tema di appalti, interessante ma anch’essa migliorabile.
L’art. 15[12] inserisce nel codice degli appalti pubblici, una modifica tra i criteri da valutare in caso di aggiudicazione con il metodo dell’”offerta economicamente più vantaggiosa”[13],(quella per cui i servizi – in questo caso di gestione dei rifiuti – non sono assegnati solo in base al prezzo offerto, ma anche considerando gli elementi che rendono l’offerta anche economicamente più vantaggiosa nel corso della gestione dell’appalto), anche la cessione a titolo gratuito, a fini beneficenza, delle rimanenze.
Sarà quindi possibile preferire un’offerta anche sulla base della sua capacità di garantire il recupero della eccedenze, applicando successivamente all’azienda di gestione dei rifiuti (o al soggetto del terzo settore con essa convenzionato) la legge del “buon samaritano”[14] “limitatamente all’attività di cessione gratuita, a fini di beneficenza, delle rimanenze”.
E’ un elemento positivo, perchè è un passo avanti rispetto alla situazione odierna.
Vanno però dette due cose.
La prima è che un elemento di preferibilià per chi si fa carico del recupero delle devoluzione va esteso a tutti gli affidamenti pubblici, quindi oltre che agli appalti anche ai contratti di servizio con società pubbliche (le ex “municipalizzate”).
La seconda è che se si vuol puntare strutturalmente al recupero dello spreco alimentare questo criterio non deve essere un elemento di preferibilità ma una condizione dei ammissione alla gara (o un elemento caratterizzante il contratto di servizio).
Visto quello che nella legge c’è devo rilevare cosa manca, ed è un’assenza pesante.
Si lavora giustamente molto sul sistema di incentivazioni della devoluzione ma non viene introdotto il “reato” di spreco alimentare.
A mio avviso è uno sbaglio, che il Parlamento può correggere.
Considerare lo “spreco alimentare” un reato non è importante solo per le sue conseguenze penali o amministrative, quanto anche per il suo significato culturale.
Affermare il principio che evitare lo spreco non è solo opportuno, ma a tutti gli effetti doveroso è il modo per responsabilizzare cittadini e soprattutto le attività economiche ad evitarlo, nei loro comportamenti -anche produttivi – quotidiani (devoluzione eccedenze da parte commercianti, doggy bag nei ristoranti, ecc.).
Come nella legge francese anche da noi è necessario questo segnale.
Bisogna precedere non un invito a donare, ma la punizione per chi non lo fa (in Francia chi non devolve le eccedenze alimentari compie un reato, punibile con pene fino a due anni di reclusione e 75 mila euro di multa).
E’ vero che la maggior parte dello spreco avviene a livello domestico o in altri punti della filiera alimentare (che prima della distribuzione comprende la produzione e dopo di essa il consumo), ma è anche vero che la GDO è il punto più semplice da aggredire da un punto di vista logistico e organizzativo.
Le quantità in gioco nel nostro paese sono rilevanti e i margini di miglioramento ampi, se è vero, come sostiene Federdistribuzione, che attualmente nella GDO si recuperano 60.000 t/a di eccedenze alimentari a fronte di una produzione di 770.000 t/a[15]. Il margine di miglioramento è quindi superiore al 92%..
La Finestra sulla prevenzione dei rifiuti auspica che la discussione parlamentare definisca un pacchetto di misure organicamente utilizzabili in una strategia anti spreco alimentare.
La proposta in discussione è un buon punto di partenza, che certamente può essere migliorato.
A partire dall’introduzione del ”reato di spreco alimentare” e delle misure per farvi fronte..
Per arrivare all’inserimento nei C.A.M. del servizio di raccolta dei RU della capacità del gestore di di gestire (anche in rapporto alle onlus che le distribuiscono) il recupero e la distribuzione delle eccedenze alimentari.
Dal punto di vista dell’assegnazione del servizio questa capacità va proposta come una condizione per l’ammissione alle gare o ai contratti di servizio per la gestione del servizio (e non “solo” come elemento di qualificazione dell’offerta”);
Anche la capacità di misurare il rifiuto (RUR e FW) e di applicare la tariffa sulla base delle produzioni specifiche individuali della utenze va inserita tra le condizioni di ammissione e non solo tra i criteri di scelta dell’offerta.
La misura del rifiuto in modo certificabile diventa così la condizione per po
ter applicare la tariffa in modo puntuale, dando concretezza ed evidenza al principio “chi inquina paga”.
Ricordiamo sempre che per “nutrire il pianeta” va bene definire “indirizzi” (Protocollo di Milano), ma è necessario attivare iniziative sia sul terreno normativo che sul quello delle azioni operative (v. ad es la partenza del progetto AvanziAMO a che unisce a Ferrara lotta allo spreco a valorizzazione dei soggetti delle filiera alimentare locale sostenibile – di cui abbiamo parlato di recente[16]).
[1] http://www.repubblica.it/ambiente/2015/05/22/news/francia_troppo_cibo_sprecato_il_governo_bisogna_darlo_ai_poveri_-115011536/
[2] http://www.repubblica.it/ambiente/2015/05/27/news/petrini_lo_spreco_alimentare_deve_essere_reato_come_in_francia_-115383591/
[3] http://www.huffingtonpost.it/2015/06/23/changeorg-spreco-alimentare_n_7643626.html?utm_hp_ref=italia-changeorg?utm_source=change_org&utm_medium=petition
[6] Testo http://www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0031770&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=3057-e-sede=-e-tipo
Commento http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/AS0198.Pdf
[7] Si tratta delle seguenti categorie merceologiche:
a) prodotti ortofrutticoli;
b) frutta secca e funghi secchi;
c) carni e loro derivati;
d) salumi, latticini, prodotti di gastronomia anche in atmosfera protetta nonché pane e prodotti di pasticceria, ad esclusione di quelli di pasticceria fresca contenenti panna o creme.
Vengono espilicitamente sclusi i ai prodotti superalcolici e ai prodotti di pescheria freschi.
[8] Sono quelli di cui al comma 15 dell’articolo 6 della legge 13 maggio 1999, n. 133, e successive modificazioni.
[10] Grande Distribuzione Organizzata; Distribuzione tradizionale (es. negozi di vicinato, mercati rionali); Ristorazione collettiva (evidenziando il settore della ristorazione scolastica); Ristorazione commerciale (HORECA); Eventi in cui è prevista la somministrazione di alimenti.
[11] Per l a cui definzione si puòassumere la Definizione di «Food Waste» secondo FUSION: “Food waste is any food, and inedible parts of food, removed from the food supply chain to be recovered or disposed (including composted, crops ploughed in/not harvested, anaerobic digestion, bio-energy production, co-generation, incineration, disposal to sewer, landfill or discarded to sea).”.
[12] Capo V MISURE IN MATERIA DI APPALTI Art. 15 (Misure in materia di appalti).
1. Dopo la lettera e) del comma 1 dell’articolo 83 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, è inserita la seguente: «e-bis) la cessione a titolo gratuito, a fini beneficenza, delle rimanenze».
2. Alla società aggiudicatrice dell’appalto ai sensi dell’articolo 83 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, si applica la legge 25 giugno 2003, n. 155, limitatamente all’attività di cessione gratuita, a fini di beneficenza, delle rimanenze.
[13] Art. 83 Criterio dell’offerta economicamente piu’ vantaggiosa (art. 53, direttiva 2004/18; art. 55, direttiva 2004/17; art. 21, legge n. 109/1994; art. 19, d.lgs. n. 358/1992;art. 23, d.lgs. n. 157/1995; art. 24, d.lgs. n. 158/1995
1. Quando il contratto e’ affidato con il criterio dell’offerta economicamente piu’ vantaggiosa, il bando di gara stabilisce i criteri di valutazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto, quali, a titolo esemplificativo:
a) il prezzo;
b) la qualita’;
c) il pregio tecnico;
d) le caratteristiche estetiche e funzionali;
e) le caratteristiche ambientali;
f) il costo di utilizzazione e manutenzione;
g) la redditivita’;
h) il servizio successivo alla vendita;
i) l’assistenza tecnica;
l) la data di consegna ovvero il termine di consegna o di esecuzione;
m) l’impegno in materia di pezzi di ricambio;
n) la sicurezza di approvvigionamento;
o) in caso di concessioni, altresi’ la durata del contratto, le modalita’ di gestione, il livello e i criteri di aggiornamento delle tariffe da praticare agli utenti.
[15] V le dichiarazioni dell’intervsta del “Fatto Alimentare” all’Ammnistratore Delgati del gruppo U2. Mario Gasbarrino – http://www.ilfattoalimentare.it/spreco-alimentare-u2-francia.html