Con Interpello 43130/2023, la Provincia di Lecce ha richiesto un’interpretazione della vigente normativa sulla corretta classificazione del trattamento che prevede l’estrazione di fango cellulosico, da destinare per attività di produzione di conglomerato bituminoso, dal processo depurativo delle acque reflue urbane. Si pone il quesito se tale attività è da considerare attività diretta al “riutilizzo di sottoprodotto” del processo depurativo o, attività di “recupero di rifiuto”.

La Provincia ha chiesto anche delucidazione sull’eventuale assoggettabilità ad un regime autorizzatorio, ai sensi dell’articolo 208, comma 15 ovvero dell’articolo 211 del d.lgs. 152/2006, dell’attività di trattamento sopra descritta.

La risposta del Ministero

Per essere considerato e trattato come un sottoprodotto, un materiale deve soddisfare tutte le condizioni previste dall’articolo 184-bis, comma 1, del d.lgs. 152/2006 devono contemporaneamente: se viene a mancare, dall’inizio o anche in un momento successivo, uno solo degli elementi in questione, lo scarto di produzione non potrà essere qualificato sottoprodotto e dovrà essere considerato come rifiuto ed andrà gestito come tale.

Il decreto ministeriale n. 264 del 2016, ha indicato i Criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti, ed ha fornito indicazioni relative ad alcuni aspetti – sicurezza del riutilizzo, normale pratica industriale e requisiti di impiego e di qualità ambientale – con le quali il produttore può dimostrare di soddisfare le condizioni generali previste dal 184-bis.

Secondo Ministero, non esiste un elenco di materiali qualificabili come sottoprodotti, né un elenco di trattamenti ammessi sui medesimi in quanto costituenti normale pratica industriale, pertanto, la valutazione del rispetto dei criteri indicati dall’art. 184-bis del d.lgs. 152/2006 va rimessa ad una analisi caso per caso, come confermato dalla circolare prot. 7619 del 30 maggio 2017. I criteri devono essere valutati ed accertati alla luce del complesso delle circostanze soddisfatti in tutte le fasi della gestione dei residui, dalla produzione all’impiego nello stesso processo, o in uno diverso. La qualifica di sottoprodotto non potrà mai essere acquisita in un tempo successivo alla generazione del residuo, non potendo un materiale inizialmente qualificato come rifiuto poi divenire sottoprodotto. Il possesso dei requisiti deve sussistere, dunque, sin dal momento in cui il residuo viene generato.

Disidratazione dei fanghi: come qualificare i fanghi?

Con riferimento al caso rappresentato, solo gli impianti che effettuano la disidratazione dei fanghi, generati da impianti di depurazione, non necessitano di autorizzazione ai sensi della parte IV D.lgs. 152/2006. Ai sensi dell’art. 127, infatti, i fanghi prodotti dalle attività di trattamento delle acque e dalla depurazione delle acque reflue “sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”. Quindi,fin quando non sia concluso il processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione, i fanghi sono regolamentati dalla disciplina di cui alla Parte III del D.lgs. 152/2006. dopo, ove applicabile la disciplina dei rifiuti, anche ai sensi dell’art. 184 gli stessi sono classificati come rifiuti speciali.

Quindi, qualora detti fanghi non possano essere utilizzati in agricoltura nel rispetto delle norme di settore e non siano ancora rifiuti, sarà il produttore a dover stabilire se ai suddetti fanghi possa essere attribuita la qualifica di sottoprodotto a seguito di una valutazione caso per caso nel rispetto della disciplina di cui al citato art. 184-bis.

Trattamento di fango cellulosico: quando si configura il recupero di rifiuti?

Nel caso di specie sembrerebbe trattarsi di un trattamento, a carattere sperimentale, sul fango cellulosico tramite l’utilizzo dell’impianto mobile di estrazione della cellulosa e il successivo trattamento di disidratazione con pressa a vite e lavaggio; l’utilizzo dell’impianto mobile sembrerebbe costituire una modifica del processo di trattamento finalizzata proprio ad ottenere tale tipo di materiali e pertanto ulteriore rispetto alla “normale pratica industriale” (lettera c, comma 1, art. 184-bis dlgs. 152/2006).

Secondo il Ministero, qualora il produttore dovesse classificare tali materiali come rifiuti, escludendo quindi la possibilità di attribuire loro la qualifica di sottoprodotto, si delineerà un’ipotesi di recupero di rifiuti, finalizzato al riutilizzo nella produzione di conglomerato bituminoso, che dovrà essere autorizzato ai sensi dell’art. 208 o, nel caso in cui si scelga di autorizzare l’impianto come impianto di ricerca e sperimentazione, dell’art. 211 del d.lgs. 152/2006, nel rispetto, per il caso specifico, dell’art. 184 ter del Codice Ambiente.

L’interpello e la risposta del ministero sono disponibili qui

Fonte: Insic – articolo completo qui