Il 22 settembre 2022 nel corso del festival Circonomia, Festival nazionale dell’economia circolare e della transizione ecologica (Alba, 22-24 settembre 2022), è stata presentata la terza edizione del  Rapporto Circonomia“Economia circolare, transizione ecologica, indipendenza energetica: a che punto è l’Italia?”, curato da Duccio Bianchi, co-fondatore dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia.

Secondo il rapporto l’Italia si conferma leader in Europa quanto a circolarità ed efficienza d’uso delle risorse: è la migliore tra i 27 Paesi dell’Unione nel ranking generale costruito su 17 diversi indicatori, prima per consumo interno di materia pro-capite e percentuale di riciclo sul totale dei rifiuti, più avanti degli altri grandi Paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Polonia) per energia consumata/unità di PIL e consumo di materia/unità.

Questo primato accomuna, complessivamente, tutte le aree del Paese, ma con una vistosa differenza tra Nord e Sud.

I dati del Rapporto mostrano un rilevante ritardo del Sud nella transizione ecologica: le regioni meridionali ottengono anch’esse un brillante risultato complessivo, ma dovuto prevalentemente a bassi livelli dei consumi, e della conseguente pressione sulle risorse naturali. Insomma, nel Sud dell’Italia l’impatto moderato delle attività umane sull’ambiente è frutto più di arretratezza economica che di efficienza nell’uso delle risorse.

Le buone performance italiane nell’economia circolare hanno tuttavia un dato negativo: negli ultimi anni la transizione ecologica dell’Italia è rimasta in stallo. Questo avviene sulla transizione energetica verso la decarbonizzazione in Italia non crescono più le energie rinnovabili dal 2015 (solo recentemente si sono manifestati segni di un’iniziale ripresa), in controtendenza rispetto a buona parte d’Europa e malgrado la progressiva e significativa riduzione dei costi di produzione dell’energia sia solare che eolica. La nuova potenza elettrica rinnovabile installata in Italia tra il 2016 e il 2020 è stata pari a circa un terzo della media pro-capite europea (72 W/ab contro 201) e a quella della gran parte dei Paesi dell’Unione (nei Paesi Bassi il dato è 9 volte quello dell’Italia).

Ciò avviene a causa, soprattutto, di una vera e propria barriera alla eco-innovazione rappresentata dalla lentezza e farraginosità dei meccanismi burocratici relativi agli iter autorizzativi, spesso ingigantita nelle sue conseguenze negative dall’azione di gruppi e comitati che si oppongono alle energie rinnovabili utilizzando pretestuosamente argomenti “ambientalisti”, generalmente la difesa del paesaggio.

Una generale perdita di velocità si registra anche nei processi di miglioramento dell’efficienza energetica, parametro nel quale l’Italia in Europa tradizionalmente ha primeggiato: nel 2000 eravamo il Paese con la migliore produttività energetica d’Europa, oggi siamo quarti, mentre il nostro vantaggio percentuale rispetto alla media europea è sceso dal 28% al 19%. Da segnalare che mancano, a oggi, dati significativi sugli effetti del “superbonus” 110% quanto ad efficientamento dei consumi energetici residenziali.

In tema di energia, dal rapporto risulta in una situazione critica anche per quanto riguarda la mobilità elettrica.

L’eccellenza italiana nell’economia circolare è “reattiva”, non “strategica”. Le buone prestazioni italiane in termini di consumo di materia, consumi energetici, tassi di riciclo dei rifiuti, dipendono in parte da “eredità” e in parte riflettono scelte virtuose compiute dagli attori economici e anche, in alcuni casi, efficaci politiche pubbliche.

Le scelte di economia circolare sono tuttavia legate ad opportunità di risparmio economico che colgono nel minore consumo di materia e di energia e nel maggiore ricorso a materie seconde un fattore di competitività del sistema. Ciò che manca in misura crescente è un approccio “strategico” del sistema-Paese, sinergico tra decisori pubblici e privati, finalizzato a qualificare sempre di più l’economia italiana nel senso della circolarità e della sostenibilità ambientale.

Tra le prove principali di questa mancanza di visione strategica vi è la consolidata debolezza italiana in fatto di capacità di innovazione tecnologica verde. Nel periodo 2008-2018, la quota di brevetti italiani nell’area “ambiente e cambiamento climatico” è rimasta stabile intorno all’1,8% sul totale dei Paesi dell’OCSE: ciò significa che il totale dei brevetti italiani nel decennio considerato è stato inferiore a quello della Danimarca, sostanzialmente identico a quello dell’Olanda, pari al 33% di quello della Francia e al 13% di quello della Germania.

Al “primato” italiano in fatto di efficienza d’uso delle risorse e di circolarità dell’economia fanno da contraltare performance decisamente negative su fronti altrettanto strategici in tema di modernizzazione socio-economica: tasso di povertà, giovani senza lavoro né istruzione (23% dei giovani tra 15 e 29 anni, la media Ue è circa 13), ritardo nella trasformazione digitale (siamo ventesimi tra i 27 Paesi Ue). Arretratezze che rischiano di compromettere lo stesso cammino della transizione ecologica.

Il rapporto è disponibile qui

Fonte: Regioni & Ambiente qui