Una questione di sopravvivenza così è stato intitolato il rapporto presentato nei giorni scorsi alla 72esima Assemblea Generale dell’Onu dal Global High Level Panel on Water and Peace. La scarsità d’acqua, in molte regioni, è esacerbata dalla povertà, dalle scarse risorse igieniche e dalla fragilità economica, oltre che, ovviamente, dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. In molti luoghi del mondo è motivo di guerre e conflitti.
Il rapporto, definito come cento pagine della diplomazia dell’acqua, è stato redatto dall’ex Presidente sloveno, Danilo Turk, alla guida dei quindici esperti indipendenti ed offre molti spunti innovativi per risolvere il grosso problema della distribuzione pacifica delle risorse idriche, non nuovo e sicuramente uno dei più seri che la comunità internazionale si trova ad affrontare.
“Tutte le persone hanno il diritto di accedere all’acqua potabile e sicura. Questo è un diritto umano fondamentale e una questione centrale per il mondo di oggi. L’acqua è un bene comune al centro dello sviluppo economico e sociale e la cui scarsità può destabilizzare intere regioni”, ha dichiarato l’Osservatore Permanente della Santa Sede a Ginevra, Ivan Jurkovic, quando il rapporto è stato presentato in anteprima nella città svizzera il 14 settembre. L’acqua è un simbolo di vita ma anche è un bene distribuito molto male. Laghi e grandi fiumi, per di più, non rispettano i confini stabiliti dai politici. Questo ha creato negli anni innumerevoli conflitti, in Africa come in Medio Oriente, e ha troppo spesso trasformato quella che dovrebbe essere una risorsa per tutti in un’arma per mettere in ginocchio le popolazioni civili. Il gruppo di lavoro che ha creato il documento presentato a New York, il  Global High Level Panel on Water and Peace,  nasce nel 2015  a Ginevra da un gruppo di quindici paesi, guidato soprattutto dalla Svizzera, con l’obiettivo di cercare le strade per favorire un’equa distribuzione delle risorse idriche e trasformare l’acqua da fonte di conflitti a “strumento di pace”. La cosiddetta “idro-diplomazia”, nasce in realtà ancora prima nel 1969 quando il Brasile firmò il Trattato del Rio della Plata, con tre paesi confinanti, per promuovere dei progetti comuni. L’esempio è stato seguito da altre nazioni dando vita, a partire dalla fine della Seconda Guerra mondiale, a 263 accordi bilaterali e multilaterali riguardanti 145 Paesi diversi per la condivisione e la gestione delle acque comuni. Purtroppo soltanto 84 di loro si sono trasformati in un meccanismo efficiente per risolvere insieme tutti i problemi.
Il rapporto creato dal gruppo di lavoro ha affermato che la diplomazia dell’acqua dovrà passare attraverso una serie di tante piccole iniziative fattibili e concrete, che tengano conto delle situazioni locali e dei problemi tecnici anche più minuti. A finanziarle dovranno essere sempre di più non soltanto le grandi istituzioni finanziarie internazionali, ma anche i donatori privati, le banche private o regionali e le organizzazioni internazionali più piccole, come l’Ifad (International Fund for Agricoltural Development), che ha sede a Roma. Gli incentivi dovranno andare non solo ai grandi progetti infrastrutturali, come le dighe, ma anche alle piccole iniziative destinate a favorire i progetti comuni di navigazione e ecoturismo. Per coordinare il tutto, poi, dovrebbe essere creato un Osservatorio Permanente per l’Acqua e la Pace, una minuscola organizzazione molto elastica e in grado di lavorare senza coinvolgere più del necessario la diplomazia ufficiale dei singoli Paesi coinvolti.
Fonte: lavocedinewyork.com  – Articolo al seguente link – Il Rapporto è disponibile al seguente link